Black box thinking

Matthew Syed

Risponde alla domanda

Come diventare i migliori come individui, come squadre e come organizzazioni.

Perchè leggerlo?

Black Box Thinking è un nuovo approccio alle alte prestazioni, un mezzo per trovare un vantaggio in un mondo complesso e in rapida evoluzione. Nello sport, ma anche in affari e politica, così come in famiglia e a scuola. In altre parole, in tutti gli ambiti della nostra vita. Sulla base di una serie di casi studio e di esempi reali, insieme ad una ricerca all’avanguardia sui profitti marginali, sulla creatività e sui guadagni, Matthew Syed racconta la storia di come il successo si realizzi veramente e di come non possiamo crescere a meno che non siamo disposti ad imparare dai nostri errori.

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Sintesi in italiano

Impara a prendere il buono dai tuoi fallimenti.
Fallire. Che tu venga bocciato ad un esame, riceva un due di picche corteggiando qualcuno che ti piace o fallisca nell’organizzare una cena in grande stile per i tuoi amici, il fallimento è sempre un fallimento. Ed è una delle cose più seccanti e terrificanti in cui ti possa capitare di imbatterti.

Forse però un fallimento non è solo seccante, terrificante e controproducente. Forse è anche l’esatto opposto di tutto ciò. Questi blink ti mostreranno come sfruttare un fallimento a tuo vantaggio – come, anzi, proprio il fallimento sia la chiave del progresso e del successo.

In questi blink scoprirai:

  • perché non è così raro che persone innocenti siano perseguite;
  • come l’invenzione del bancomat sia nata proprio da un fallimento;
  • quale sia la nostra capacità di imparare dagli errori

Fallire ci spaventa perché mette alla dura prova la nostra autostima.
È dura per i bambini ammettere i propri sbagli. Tanto che per loro è quasi automatico negare di avere, per esempio, disegnato sul muro, anche quando la prova della loro colpevolezza – il pennarello tra le mani e le dita sporche di inchiostro – è schiacciante. Ma si cambia davvero così tanto una volta diventati adulti?

Non proprio. In generale si è molto restii ad ammettere di aver commesso un errore. Di fatto odiamo ammettere di aver commesso un errore ben più di quanto odiamo averlo commesso!

Basta dare un’occhiata al sistema giudiziario penale americano per rendersene conto.

Nel 1984 l’avvento del test del DNA ha consentito al pubblico ministero di determinare la colpevolezza senza ombra di dubbio. Si potrebbe pensare che questa tecnologia a prova di bomba funzioni anche al contrario, ovvero nel caso in cui si voglia scagionare un innocente ingiustamente condannato. Purtroppo di solito non è così. In molti casi la giustizia non è disposta ad ammettere di aver commesso un errore.

Prendiamo il caso di Juan Rivera, un diciannovenne con trascorsi di malattia mentale. Nel 1992 fu accusato di aver violentato e assassinato una bambina di 11 anni e fu condannato all’ergastolo. 13 anni dopo il test del DNA provò la sua innocenza, ma il pubblico ministero rimase convinto della sua colpevolezza e ci vollero altri 6 anni perché fosse rilasciato.

Perché è così difficile ammettere i propri errori? Beh, ammettere di aver sbagliato mina la nostra autostima, specialmente quando si tratta di questioni importanti.

Il pubblico ministero del caso Rivera non era necessariamente una brutta persona. Probabilmente voleva solo nascondere il proprio errore.

 

Forse la parte più difficile dell’ammettere uno sbaglio è il primo passo – ammettere l’errore con te stesso. Ciò è particolarmente vero quando si tratta di errori gravi, come condannare una persona innocente a 13 anni di reclusione. Ammettere un errore talmente orribile mina istantaneamente la tua autostima, rendendo persino difficile convivere con la consapevolezza di averlo commesso.

Quindi, con tutta probabilità, il pubblico ministero credeva veramente che Rivera fosse colpevole e che, per il test del DNA negativo, ci fosse una qualche spiegazione, senza escludere la sua colpevolezza.

 

Il fallimento fa male ma è il necessario precursore del miglioramento.
Come hai potuto vedere nel blink precedente (e come avrai sicuramente imparato anche da qualche esperienza personale), ammettere uno sbaglio è estremamente difficile. Ma perdere la faccia e comprendere il fallimento ha delle conseguenze: ostacola la nostra capacità di avere successo.

Il fallimento non è semplice vergogna di sé; piuttosto, è il segno che qualcosa non va. Ed è proprio quando realizzi che qualcosa non va – che si tratti del tuo comportamento oppure dell’organizzazione dell’azienda – che hai l’opportunità di risolvere il problema.

Facciamo un esempio. Quando giochi a basket, ogni canestro mancato è, tecnicamente, un fallimento. Hai senz’altro commesso un errore di valutazione, uno sbaglio. Forse tenevi la palla nel modo sbagliato, hai usato troppa forza oppure sei stato goffo nel saltare. Ogni volta che manchi il canestro, sai di aver in qualche modo fallito nel realizzare il tiro perfetto.

È correggendo il tuo comportamento sulla base del feedback che ricevi dal fallimento che puoi migliorare, e, in ultima istanza, riuscire nella tua impresa. Tutti quei lanci sbagliati ti hanno fornito informazioni cruciali su come agire meglio alla prossima occasione – come tenere la palla, come saltare – così da riuscire a segnare il punto.

La natura funziona allo stesso modo. Le specie si evolvono nel corso di centinaia di migliaia di anni, ogni generazione trasmette alla successiva quelle mutazioni in grado di rendere più facile la sopravvivenza. È un po’ come se ogni specie tenesse un registro delle cose che hanno rischiato di portarla all’estinzione allo scopo di assicurare alle generazioni future una migliore capacità di fronteggiare il pericolo.

Un team di biologi della Unilever si è servita di un metodo simile per progettare un ugello che non si intasasse. In totale realizzarono 449 progetti, prendendo il meglio da ogni serie, finché non furono in grado di sviluppare l’ugello più efficiente.

Se non riesci ad accettare i tuoi errori, non ti evolverai mai.
Immagina un mondo in cui nessuno ammette i propri errori né riesce a trarne alcun insegnamento. In un simile scenario, gli sbagli verrebbero reiterati all’infinito, con conseguenze devastanti.

 

Spesso è semplice determinare se una cosa sia un successo o un fallimento: un paziente sopravvive oppure muore, un aereo atterra oppure precipita. Ma è nella spiegazione dei fatti che si trova il dettaglio in grado di fare la differenza: il fallimento è stato causato da un errore oppure no?

 

Tuttavia non è sempre così immediato che ad un’azione diversa corrisponda un diverso risultato. Il paziente sarebbe sopravvissuto se avesse ricevuto un diverso trattamento? L’aereo sarebbe precipitato se fosse atterrato altrove?

 

È proprio questa vaghezza a rendere così semplice sottrarsi alla responsabilità dei propri errori. Ma se non riesci ad ammettere l’errore, come puoi imparare a fare meglio la volta successiva?

 

Nell’ambito medico gli errori sono talmente inaccettabili che i dottori e le infermiere raramente ammettono di averne commessi. Di conseguenza quegli errori si ripetono, a spese della salute dei pazienti. Degli studi mostrano che negli Stati Uniti almeno 40.000 persone perdono la vita ogni anno a causa di questi errori.

 

Tuttavia in alcuni campi fallire è praticamente impossibile. Di conseguenza in questi campi non si verifica alcun progresso.

 

Per esempio, le pseudo-scienze, come l’astrologia, non si sono evolute affatto nei secoli. I presupposti fondanti delle previsioni astrologiche sono semplicemente troppo vaghi per essere contraffatti.

 

Un altro ottimo esempio è il salasso, una pratica medica diffusa prima che si affermassero i test clinici nel diciannovesimo secolo.

 

I dottori drenavano il sangue dai pazienti nel tentativo di curare o prevenire le malattie. Sebbene ciò avesse il solo effetto di indebolire i pazienti, e proprio nel momento in cui avevano più bisogno di forze, i dottori continuarono ad adottare questa pratica per più di 1700 anni. Non avevano idea che, così facendo, stavano letteralmente uccidendo i pazienti, e questo poiché non avevano mai sottoposto la pratica a dei test.

 

Finora ci siamo concentrati sull’impatto negativo dell’incapacità di ammettere i propri errori. Nei prossimi blink vedremo come fare buon uso dei nostri fallimenti.

 

Per imparare e migliorarti, devi sottoporre al vaglio le tue teorie.
Tendiamo a vedere il mondo come qualcosa di semplice e facilmente comprensibile. Di conseguenza avvertiamo raramente il bisogno di testare le nostre teorie. Ma ciò ci priva dell’opportunità di verificare se tali teorie siano giuste o sbagliate!

 

Il mondo è immenso e terrificante, perciò è comprensibile che tendiamo ad optare per spiegazioni semplici ogni volta che ne abbiamo l’occasione. Torniamo per esempio alla pratica del salasso: i dottori medievali credevano che i pazienti che perdevano la vita fossero semplicemente condannati sin dal principio. La loro condizione era talmente grave che neanche il salasso riusciva a salvarli.

 

Sebbene possa essere difficile da ammettere, il mondo non è affatto così semplice. Situazioni difficili spesso sono il risultato di numerosi fattori. Semplificare la realtà non fa che impedirti di trovare una spiegazione alle cose del mondo testando le tue teorie.

 

I dottori medievali non misero mai alla prova la validità del salasso poiché non ne avevano motivo. “Sapevano” già perché i pazienti morivano – o almeno, così credevano.

 

Ma concedere alle idee l’opportunità di fallire fa spazio a nuove idee e al progresso. Non importa quanto un’idea possa apparire sensata, non si può mai essere certi della sua validità finché non la si mette alla prova.

 

Uno dei modi per testare una teoria consiste nell’effettuare degli studi clinici controllati randomizzati (randomized control test – RCT) coi quali si testa qualcosa servendosi di un gruppo di controllo che renda più chiara la causa di un eventuale fallimento.

Per esempio, se volessimo testare l’efficacia del salasso, potremmo radunare 10 pazienti, ciascuno affetto dalla stessa malattia, e dividerli in due gruppi: il gruppo del salasso e quello di controllo. Il gruppo del salasso viene sottoposto al trattamento, l’altro gruppo invece no.

 

Se ogni paziente di ciascun gruppo muore, non si avranno dati sufficienti per formulare un giudizio consapevole sul salasso. Se invece ogni paziente del gruppo sottoposto al salasso muore, mentre metà del gruppo di controllo sopravvive, saremmo costretti ad ammettere che, non solo il salasso non è efficace, ma è anzi assolutamente dannoso.

 

Il fallimento porta ad ottime soluzioni e aiuta a mettere a punto procedimenti complessi.
Il fallimento può essere seccante, ma può anche consentirti di vedere i problemi in una luce diversa. E proprio grazie a questa nuova prospettiva si giunge a nuove soluzioni.

 

Spesso ottime idee nascono in risposta ad un problema specifico – ovvero, quando qualcosa fallisce. Il fallimento stesso è ciò che ti spinge a trovare una soluzione e in questo modo il fallimento può fungere da fattore chiave per il progresso.

 

Pensa al bancomat, per esempio, concepito da John Shephard-Barron il giorno in cui dimenticò di andare in banca per prelevare dei soldi. Potremmo dire che il suo errore sia stato quello di ritrovarsi sprovvisto di contanti nel momento in cui ne aveva bisogno. Ma grazie a questo errore si è presentata una nuova soluzione: una macchina dispensatrice di denaro che sia aperta quando la banca è chiusa.

 

Oltre a fungere da catalizzatore di nuove soluzioni, il fallimento è anche un modo di mettere a punto procedimenti complessi, in quanto ci aiuta a distinguere le varie parti che costituiscono il problema.

 

Più il procedimento è complicato, più difficile è metterlo a punto. La complessità rende difficile capire esattamente dove sia l’errore.

 

Immagina di voler aiutare a migliore il sistema educativo in Africa. Come fai a sapere se il tuo aiuto fa la differenza? Osservare soltanto il rendimento scolastico non dice molto, poiché il problema è troppo ampio per sapere quali fattori generino determinati cambiamenti.

 

Tuttavia, se accetti di fallire su scala ridotta, diventa più semplice capire quali strategie stanno avendo l’effetto desiderato, e applicarle poi su più larga scala.

 

Per esempio, in Kenya un gruppo di economisti voleva migliorare la qualità delle scuole locali. Iniziarono prendendo nota dei voti ottenuti in diverse scuole e provando varie strategie per vedere se i risultati miglioravano.

 

La loro prima idea fu di distribuire testi scolastici gratuiti. Tuttavia scoprirono presto che nelle scuole che non ricevevano questo aiuto si ottenevano esattamente gli stessi risultati. Tentarono quindi molti altri approcci. Alla fine si imbatterono in una soluzione che aiutasse davvero a migliorare il rendimento scolastico: la somministrazione di medicinali vermifughi.

 

Una volta sviluppata una soluzione come questa su scala ridotta, la si può testare su più ampia scala.

Raggiungere il tuo pieno potenziale richiede l’accettazione del fallimento.
Se vuoi trarre pieno vantaggio dal fallimento, la sola comprensione intellettuale della sua utilità non è sufficiente: devi anche instaurare col fallimento una relazione positiva.

 

Se non riesci a gestire il fallimento – se al contrario gli sfuggi – finirai col fallire più di quanto sia necessario.

 

In pratica la paura di fallire può far sì che la gente eriga inutili barriere contro il successo.

 

Per esempio, l’autore del libro ricorda che alcuni dei suoi compagni, i “ragazzi fichi”, di solito uscivano a far baldoria la sera prima dell’esame. Quegli studenti avevano talmente paura di deludere le aspettative che decidevano di agire in modo da attenuare gli effetti di un potenziale fallimento. Poi se passavano l’esame con successo, tutto bene. Se invece venivano bocciati, potevano dare la colpa alla nottata alcolica.

 

Naturalmente questo non è il modo giusto di migliorarsi. Devi essere disposto a fallire e ad assumerti ogni responsabilità del fallimento per poterti evolvere – poiché il fallimento è un valido maestro, ma non esiste maestro al mondo che possa insegnarti qualcosa se tu non lo vuoi ascoltare.

 

Imparare da un fallimento richiede dedicare tempo ed energie a riflettere sui propri errori. Purtroppo le persone tendono a seppellire la testa nella sabbia piuttosto che guardare in faccia i propri fallimenti. Questo è un problema grave, poiché spesso è il nostro atteggiamento verso il fallimento a determinare il nostro successo.

 

Possiamo trovare prova di ciò nell’esperimento effettuato da un team di psicologi della Michigan State University. L’esperimento prevedeva la divisione di alcuni bambini in due gruppi: quelli che credevano di possedere un’intelligenza innata e quelli che ritenevano di poter diventare più intelligenti attraverso la pratica.

 

Ad ogni gruppo furono assegnati compiti di difficoltà crescente, progettati in modo che i bambini fallissero prima o poi. L’esperimento rivelò che i bambini che credevano di poter migliorare erano in grado di sfruttare i loro fallimenti per ottenere migliori risultati nei test successivi. Gli altri bambini, quelli che credevano che la loro intelligenza fosse invariabile, rinunciavano e basta.

Sintesi conclusiva.
Il messaggio principale del libro è il seguente:

 

È dura ammettere i propri errori. Ma se vuoi raggiungere il tuo pieno potenziale, non solo devi riconoscere di avere commesso uno sbaglio, ma accettarlo come parte del tuo percorso verso il successo. Senza fallimenti è impossibile che ci sia progresso.

 

Un’altra lettura consigliata è Mistakes Were Made (But Not By Me) di Carol Tavris e Elliot Aronson.

 

Attraverso studi e aneddoti, questi blink ci hanno spiegato perché, quando sbagliamo, tendiamo ad escogitare scuse piuttosto che assumerci la responsabilità dei nostri errori. Ci mostrano inoltre quanto queste scuse possano essere deleterie per i nostri rapporti personali, per il sistema sanitario, per quello giudiziario e persino per le relazioni internazionali.