Il 2022 potrebbe essere per la nostra Regione un anno di svolta come potrebbe rivelarsi un anno senza infamia e senza lode. A determinare quale dei due scenari si realizzerà saranno gli imprenditori piemontesi; le condizioni di contesto mettono, infatti, nelle loro mani il destino dell’anno cui stiamo per dare il benvenuto. Nel 2019 veniva pubblicato Figli di Papà; il libro voleva spiegare alle generazioni successive a quella del fondatore come diventare imprenditori ed assumere la conduzione dell’azienda di famiglia. Il filo conduttore è l’idea che continuare un’azienda è imprenditoriale quasi quanto fondarla: si tratta, infatti, di rifondarla, di farla evolvere verso il futuro. Quando l’abbiamo scritto (con Marco Ferrando) non potevamo pensare quanto bisogno di figli di papà ci sarebbe stato di lì a poco. Non si tratta tanto di Pandemia, che come tutte le pesti ha solo accelerato fenomeni già in corso, ma di combinazione epocale tra una enorme quantità di liquidità sintetica e una crescente sacca di disoccupazione volontaria. A questa combinazione, eccesso di liquidità sintetica e disoccupazione volontaria, esiste un’unica risposta.

Questa non è la politica economica che crea ulteriore liquidità, sino all’inflazione come dimostra il piano Biden, e non è la politica del sussidio a chi non lavora, sino ad arrivare alla competizione tra salario e sussidio. La soluzione sono, appunto, imprenditori che creano impresa dando sfogo alla finanza nell’economia reale e offrendo occupazione attraente. Altrimenti potremmo trovarci con una generazione di giovani che riceve sovvenzioni di vario genere e le investe nel Gamestop di turno dal sofà di casa. La finanza, i mercati, le banche centrali non sono il male, come ha dimostrato la bontà degli interventi durante la pandemia: sono la medicina, leniscono il male ma non possono da soli rimettere in piedi il paziente. Di medicina ne abbiamo presa a sufficienza: gli investimenti finanziari nel mondo hanno superato i 500 trilioni di dollari a fronte di un PIL di 85 trilioni: per ogni dollaro di produzione, quindi, ce ne sono 5,9 che devono essere investiti. Negli ultimi vent’anni gli unici impieghi possibili sono stati i mercati finanziari e la finanza sintetica: non siamo stati in grado di offrire loro sufficienti opportunità reali in cui investire.

La sede di Torino della Banca d’Italia determina in circa 237 miliardi di euro il risparmio finanziario regionale a fronte di un PIL di circa 132 miliardi. Il rapporto scende a 1,8 per una regione industriale come il Piemonte ma non cambia l’essenza. È urgente prendere atto che, senza imprenditori, la liquidità immessa nel mercato e la ricchezza risparmiata avranno una dimensione sintetica e non entreranno nell’economia reale. Ad ogni crisi si continueranno ad accrescere gli squilibri finanziarie e le diseguaglianze reali. Nel secolo scorso dopo una crisi ci potevano volere 12/18 mesi per tornare al livello occupazionale precedente.

In Piemonte non si sono ancora rivisti in termini assoluti i livelli occupazionali pre-crisi 2008; in Italia il livello è stato recuperato nel 2017, i.e. più di 100 mesi dopo. I recuperi post crisi di questo secolo sono finanziari e non reali: senza imprenditori che colleghino i due mondi non ci sono iniziative di politica economica che tengano. L’economia piemontese è fatta di aziende familiari, ed ecco perché abbiamo un disperato bisogno di figli di papà che proseguano e rifondino l’impresa. Abbiamo molti esempi cui ispirarci: Veronica Buzzi, Roberta Ceretto, Chiara Ercole (Saclà), Gaia Gaja, Francesca Giubergia (Ersel), Manuela Lavazza, Licia Mattioli, Silvia Merlo, Elena Miroglio, Tatiana Rizzante (Reply), Brigitte Sardo (Sargomma), Carolina Vergnano, Giovanna Vitelli (Azimut|Benetti)… a pensarci bene: abbiamo un disperato bisogno di più figlie di papà!