Nella scorsa settimana, Il Sole 24 ha acceso il faro sui 60-100 miliardi di nuove esposizioni non performing che il sistema bancario dovrà affrontare nei prossimi 18 mesi come effetto della crisi che sta seguendo la pandemia. I 60-100 miliardi, secondo PWC, sono un numero rilevante in valore assoluto e anche relativo: lo stock a inizio anno era di 135 miliardi e nello scenario pessimistico potrebbe quasi raddoppiare. Equita, basandosi sugli scenari europei di EBA, ha stimato per l’Italia un più ottimistico impatto di circa 22 miliardi di NPE aggiuntivi. Si tratta, inoltre, di un ambito in cui sono necessarie decisioni rapide come ha evidenziato la task force Colao nella scheda 2.vi, accesso alla liquidità per imprese in crisi.

Il problema riguarda soprattutto le inadempienze probabili (Unlikely To Pay o UTP) perché rappresentano già oggi 61 dei 135 miliardi di stock di sofferenze e rappresenteranno domani la maggior parte del nuovo flusso di NPE. Si tratta di imprese che non possono pagare per intero i debiti passati ma hanno la possibilità futura di continuare a operare in modo efficiente nel sistema competitivo. Il principio, contenuto all’articolo 186 bis della legge fallimentare, prevede che gli errori manageriali possano essere rimediati e che l’impresa possa concordare con i creditori lo stralcio di parte dei debiti per continuare a vivere liberata del peso che arriva da errori del passato. La logica di fondo è che un’azienda che sopravvive offre un prodotto/servizio che ha valore per il cliente e, così facendo, continua a pagare dipendenti e fornitori; questa sopravvivenza porta di solito un vantaggio anche ai creditori che possono recuperare somme maggiori.

 La domanda di fondo a cui la procedura deve rispondere è: gli errori del passato sono superabili? Nel caso in cui un’azienda non offra più un prodotto-servizio utile al cliente o non possa sopravvivere nel nuovo ambiente competitivo non deve avere diritto alla continuità. Il fatto che la domanda non sia di facile risposta lo dimostra il naufragio di molti concordati con continuità che si basavano su sofisticate e puntuali previsioni economico-finanziarie ma che non avevano svolto un’analisi competitiva e di posizionamento strategico dell’impresa. La pandemia e la crisi che la sta seguendo ci porranno di fronte a una domanda ancora più difficile: l’azienda saprà adattarsi alla nuova normalità, alle mutate attitudini dei consumatori, al nuovo comportamento competitivo dei concorrenti?

L’idea che la resilienza è la soluzione per affrontare la crisi è il primo sintomo di quanto alto sia il rischio che chi definisce la strategia in azienda si stia sbagliando. Resilienza è la capacità di tornare allo stato originale dopo un urto o una deformazione; la risposta alla pandemia è evoluzione non resilienza: tornare come prima significa non adattarsi ad un contesto competitivo e di mercato che sarà cambiato a fondo e per sempre; significa decidere di non avere diritto alla continuità aziendale.

La gestione delle inadempienze probabili dovrà inoltre cambiare prospettiva. Sino ad oggi, si doveva valutare se gli errori del passato e se i loro effetti finanziari sui bilanci erano rimuovibili in modo da permettere all’azienda di continuare. Gli errori hanno tre cause: arroganza, burocrazia e compiacenza. L’arroganza genera over commitment strategico in alcuni ambiti generando un eccesso di immobilizzazioni materiali o immateriali, la burocrazia carica di costi fissi il conto economico, la compiacenza espande a dismisura il capitale circolante. La crisi postpandemia imporrà di rispondere ad un ulteriore domanda: l’azienda potrà continuare ad operare nel nuovo contesto competitivo e di mercato?

In questo difficile compito l’analogia con la crisi del 2008 ci può condurre in errore: quella crisi è stato un terremoto con epicentro il sistema finanziario e con effetti decrescenti all’allontanarsi dall’epicentro. La crisi postpandemia è un maremoto: stiamo vedendo arrivare l’onda anomala, l’urto sarà forte e al suo ritirarsi lascerà un panorama diverso. I consumatori, noi, daremo priorità diverse ai nostri bisogni, avremo attitudini di consumo nuove e avremo atteggiamenti psicologici mutati. Questo poterà a forti cambiamenti del contesto economico generale e delle arene competitive delle singole filiere e dei singoli settori. Come evolvere per adattarsi a questa nuova normalità è una decisione strategica, difficile e improcrastinabile che va presa in sintonia con tutti gli stakeholder dell’azienda. In questo la postpandemia non ha cambiato l’importanza chiave di un rapporto solido basato sulla fiducia tra impresa e banca.

Bernardo Bertoldi (Docente di Family Business Strategy, Università di Torino – bernardo.bertoldi@unito.it)