L’industria dell’intrattenimento è in trasformazione: At&t ha acquisito Time Warner per 104 miliardi di dollari; Comcast ha fatto lo stesso con Sky per 40; Disney ne ha pagati 71 per la 21st Century Fox. Nel corso dell’estate le cose non si sono fermate, anzi. Apple ha annunciato che investirà 6 miliardi $ in contenuti per il suo nuovo servizio di streaming; Viacom e Cbs si sono ri-fuse; Mediaforeurope, la Olga che conterrà Mediaset e Mediaset Espana Spagna ha preso forma. dietro questi cambiamenti ci sono i consumatori virgola che usano sempre meno il telecomando è sempre più le finestre dei loro device, dalla smart tv allo smartphone passando per il tablet. Il settore dell’intrattenimento è storicamente costituito da due attività principali e distinte: produzione e distribuzione di contenuto. il business model è sempre stato quello di rendere disponibili contenuti sul maggior numero di canali distributivi possibili. anche chi operava in entrambi i settori non li integrava verticalmente, concedendo ai contenuti ad altri distributori e distribuendo i contenuti di altri produttori. Anche quando ci sono state tensioni su come dividere il valore creato, alla fine si è trovata una soluzione. Ne è un esempio la decisione di Hbo di creare Hbo+ come reazione alle richieste, giudicate eccessive, del distributore Comcast (la più grande pay tv americana oggi proprietaria di Sky): una vicenda conclusosi con il canale Hbo distribuito anche da Comcast. Come insegna Michael Porter, un settore industriale non cambia perché è possibile un migliore assetto per soddisfare il consumatore. Cambia perché qualcuno agisce in modo imprenditoriale per cogliere l’opportunità. Netflix ha dato il via a questa trasformazione quando ha avviato un’integrazione verticale nella produzione, iniziando a realizzare contenuti esclusivi. La possibilità che esista un attore del settore che possiede un accesso diretto a decine di milioni di consumatori e produce per loro contenuti in un unico sistema chiuso, ha reso efficiente dalla conoscenza delle preferenze dello spettatore, è una minaccia cui ogni player del settore ha dovuto reagire. Chi aveva un vantaggio competitivo nell’accesso al consumatore ha dovuto assicurarsi dei contenuti da distribuire: siglando contratti (Amazon e alcune Telco italiane); comprando i produttori (come ha fatto At&t); creando una propria fabbrica di produzione (Apple). Chi aveva un vantaggio competitivo nei contenuti si è dovuto assicurare un accesso al consumatore costruendolo, come Disney con Disney+ dopo il fallito tentativo di acquisto di Sky. A oggi nessun produttore di contenuti ha finalizzato un acquisto di un distributore perché, a parte Disney, i produttori hanno dimensioni più piccole dei distributori. Premesso che quando si mette in moto la distruzione creatrice di Schumpeter fare previsioni non è facile, tre considerazioni sono comunque utili:

1. Al mondo esistono più di mille operatori nel Direct to consumer. La spesa mensile del consumatore e il limite al numero di servizi di video on demand (vod) che sopravvivranno. Difficile pensare che è uno spettatore possa sottoscrivere più di due o tre i servizi basati sul modello subscription (svod, abbonamento mensile). Gli altri dovranno passare al modello advertising (Avod, visione gratis con pubblicità), al modello transaction (tvod, transazioni singole) o chiudere.

2. Nel caso in cui qualche operatore riesco a tenere una buona base di clienti diretta e a disporre di contenuto a basso costo, potrebbe creare una nicchia dove prosperare. A oggi i due casi più interessanti sono Quibi – fondata da Jeffrey Katzenberg, già ai vertici di Disney e Dreamworks – che produrrà serie con puntate di dieci minuti solo per smartphone; e l’italiana Chili, che offre un punto di accesso per gli appassionati dei singoli personaggi, dagli Avengers ai Pokemon, offrendo oltre i film in prima visione anche merchandising e notizie tematiche.

3. L’integrazione verticale avviata da Netflix dovrà dimostrare la sua validità strategica. L’ipotesi e che il contatto diretto con il consumatore offra una conoscenza così sofisticata da consentire di produrre quello che egli desidera vedere. I rischi sono elevati perché produrre il contenuto è capital intensive e con un solo canale di distribuzione, il proprio, gli errori si pagano cari. Al momento non c’è evidenza che i contenuti proprietari di Netflix siano la base del vantaggio competitivo, che per ora è costruito sull’aver sfruttato per primo un’opportunità creata dalla tecnologia.

La trasformazione è iniziata e non può essere fermata. Ma il finale – che sarà visibile al cinema virgola in tv, sul tablet, sullo smartphone – non è ancora stato scritto.