Come il caso dell’Asino di Buridano insegna ci sono momenti in cui anche il “non decidere” ha delle conseguenze. Il Consiglio di Amministrazione di Renault non è stato in grado di prendere una decisione a causa dell’auspicio dei rappresentanti dello Stato francese di rinviare il voto. La conseguenza di questa “non decisione” non è (solo) il ritiro da parte di FCA della proposta di fusione ma il fatto che in un futuro non lontano una decisione dovrà comunque essere presa. A imporlo sono il nodo irrisolto dell’Alleanza con Nissan e Mitsubishi e la velocità con cui un settore estremamente concorrenziale evolverà nel prossimo futuro.

Per capire cosa succederà nei prossimi mesi è prima necessario capire cosa sia successo in questi ultimi dieci giorni.

Dopo la proposta amichevole di fusione alla pari, il governo francese si è detto favorevole con una sorprendente rapidità e convinzione. Con il passare del tempo, però, si è manifestata una volontà attendista che suonava come voler frenare sino a fermare il processo. Cosa avvenuta nella due giorni di consiglio di amministrazione in Renault.

Allo stato attuale non si può sapere cosa sia accaduto, ma l’impressione è che in Francia i decisori fossero due: il Governo e lo Stato. Il Governo è un piccolo gruppo coeso di persone con una visione chiara e volontà di decidere ma con una delega esecutiva limitata nei poteri e nella durata, mentre lo Stato è un organismo molto più complesso, fatto di pluralità di decisori, parte politici e parte burocrati, con visioni diverse e volontà spesso divergenti, ma accomunati da una cultura nazionale destinata a rimanere oltre e al di sopra del Governo. Il Governo aveva una strategia, lo Stato ha rappresentato la cultura, e come ha insegnato il fondatore della scienza manageriale, Peter Drucker: “la cultura si mangia la strategia per colazione”.

Nel commentare la proposta di fusione 50/50 ho scritto su questo giornale: “non è tanto importante il peso dei singoli ma il loro modo di essere azionisti; devono tutti convenire che il ruolo di un buon azionista è prendersi cura dell’azienda prima che degli interessi singoli, siano essi la ragion di stato o il voler continuare ad essere l’unico decisore per dinastia”. A leggere i fatti di questi ultimi giorni sembra che più che un interesse per il futuro dell’azienda, ci sia stato un interesse più generale a mantenere uno stato delle cose più in linea con una visione del mondo dettata dalla cultura comune di un Paese.

L’interesse è legittimo e, probabilmente, anche condivisibile se visto con le lenti della cultura che lo promuove, ma ciò non elimina la necessità di dover decidere. I due elementi principali che rendono il temporeggiare una soluzione che rischia di portare alla fine del famoso Asino sono: le regole europee sulle emissioni e la pressione competitiva attivata dalle nuove tecnologie.

La regolamentazione europea è molto più stringente e virtuosa di quella americana dell’era Trump o di quella cinese. Abbiamo, come Europa, posto un’asticella molto alta e penalità rilevanti a chi non riuscirà a saltarla. I Carmaker, soprattutto quelli con una presenza europea importante come FCA o prevalente come Renault, hanno di conseguenza iniziato ad investire molti miliardi di euro per sviluppare nuovi sistemi motore ibridi ed elettrici e piattaforme per i nuovi concept di modelli. Nel caso in cui ogni concorrente lo faccia in modo indipendente si duplicheranno gli investimenti per parti dell’automobile che non danno alcun vantaggio di differenziazione verso il consumatore finale e se quest’ultimo non è disposto a pagare per questi investimenti aggiuntivi, il costo finirà sulle spalle degli azionisti e, in caso di crisi aziendali, sulle spalle dei singoli stati attraverso salvataggi aziendali o ammortizzatori sociali.

Il secondo elemento sono le nuove tecnologie, principalmente la guida autonoma e la connettività, che cambieranno il modo in cui ci muoviamo e usiamo l’auto. Questo è un fenomeno non solo europeo ma globale che avrà una accelerata significativa con l’ingresso di nuovi entranti che aumenteranno la pressione in un settore già molto competitivo. Anche in questo caso tutti i carmaker hanno avviato iniziative ed investimenti per essere pronti ad affrontare una competizione intersettoriale ed agguerrita, ed è questo il motivo per cui un grande campione europeo avrebbe più carte da giocarsi.

Per il peso che l’industria automobilistica ha sul sistema produttivo europeo le conseguenze, anche politiche, saranno di enorme portata. La fusione FCA-Renault può non essere il mucchio di fieno preferito dall’asino di Buridano ma resta la necessità di decidere sul futuro di Renault. Data l’evoluzione in atto, i mucchi di fieno tra cui scegliere non possono essere molti: una Renault indipendente, un’altra fusione (magari con Peugeot), una nuova fase dell’alleanza con Nissan.

Questo ultimo scenario, apre un secondo ambito di conseguenze del “non decidere”. L’Alleanza è ufficialmente entrata in crisi con l’impossibilità di Ghosn di guidarla. Il manager ne era stato il creatore e, per tutta la sua durata, elemento di collegamento e stabilità; senza di lui è necessario decidere cosa fare. Nissan, essendo in una posizione di forza e seguendo i dettami di una cultura portata ad evitare il conflitto salvo casi di necessità estrema, è stata alla finestra. Non è verosimile che ora continui con la tattica attendista ed è quindi possibile che si apra una fase conflittuale, anche aspra.

Le decisioni, quindi, possono essere rimandate non per molto. I decisori, come ci hanno insegnato questi ultimi tre giorni, sono tanti e hanno anime e culture diverse, ma tutti devono rispondere ad una semplice ma ineludibile domanda: c’è un valore nell’unire le forze per poter affrontare con coraggio e flessibilità una trasformazione senza precedenti dell’industria automobilistica?

Bernardo Bertoldi (Docente di Family Business Strategy, Università di Torino – bernardo.bertoldi@unito.it)