In un mondo con un eccesso di liquidità, l’imprenditorialità è una caratteristica preziosa per gli investitori. E le famiglie imprenditoriali che controllano aziende come Amplifon, Brembo, Campari, Interpump, DiaSorin, Moncler, Ima, Reply, hanno espresso una cifra imprenditoriale che raramente si trova». Bernardo Bertoldi, docente di Family business strategy all’Università di Torino, spiega così la presenza di molte aziende a controllo familiare tra i titoli di Piazza Affari più vicini ai record storici. E sostiene che questo fenomeno mostra come l’introduzione del voto plurimo non abbia fatto fuggire gli investitori internazionali: «Anzi, al contrario di quello che si temeva, ha chiarito gli apporti dei diversi attori. Gli investitori vedono come positiva la chiara assunzione di responsabilità di un azionista stabile, che conosce il settore di riferimento e impone disciplina al management. Gli imprenditori hanno la certezza di avere in mano le decisioni chiave per il futuro dell’azienda, che spesso rappresenta la quasi totalità del loro patrimonio».

Quanto pesano sul sistema italiano le aziende di medie dimensioni che hanno saputo sfruttare la globalizzazione?

«Oggi moltissimo, in futuro di più. È un trend iniziato con la caduta del muro di Berlino: chi non ha accettato di competere in un mondo piatto si è rimpicciolito. Questo trend continuerà perché si basa su mobilità dei capitali, globalità dell’informazione, sistemi finanziari connessi. Il protezionismo politico lo può rallentare solo temporaneamente».

È un fenomeno che esiste anche in altri Paesi o è una nostra caratteristica?

«Altre economie hanno un sistema simile, ad esempio la Germania, ma sono fatte di imprese che crescono collegandosi a imprese globali, i cosiddetti campioni nazionali. Le medie imprese italiane invece crescono in settori dove non hanno effetto le economie di scala o di scopo. La dimostrazione è che spesso inventano i macchinari di cui hanno bisogno perché non esistono: nessuno li produce perché il settore è troppo piccolo per essere d’interesse per un produttore di macchinari. Un settore piccolo è diverso da una nicchia, che è una parte di un settore. La distinzione è importante perché rinchiudersi nelle nicchie significa essere accerchiati dai leader, mentre essere il leader di un settore piccolo permette di crescere».

Bastano queste imprese per assicurare un futuro industriale all’Italia?

«A patto che nelle nostre aziende ci sia abbastanza imprenditorialità per fare il passaggio dimensionale dico sì. Primo perché i settori piccoli sono moltissimi e aumentano con la sofisticazione della domanda globale. Secondo perché il nostro vantaggio competitivo deriva da una distinzione data da gusto, creatività, tecnologia. La base per queste capacità è il Paese in cui viviamo: ognuno di noi è continuamente immerso in secoli di laboriosa creazione di bellezza, anche solo quando cammina per le strade di una città o di un borgo. Sin da piccoli siamo costretti a sintetizzare un’infinita serie di stimoli, godendoci il Colosseo, gli Uffizi, Venezia, le Alpi, la Valle dei Templi e altre bellezze che qualsiasi altro umano non può neppure immaginare. Nessuno di noi può sfuggire a questa educazione. E alcuni di noi riescono a sintetizzarla in idee e prodotti che distinguono ogni settore in cui competiamo».