Il dibattito aperto sulle pagine dal direttore di questo Quotidiano sulle vere emergenze del Paese e sulla disperata necessità di “progetti adeguati e riforme vere” ha mobilitato interventi che identificano cosa bisogna fare: dai passi per evitare errori di Francesco Profumo allo “spendiamoli bene” di Paolo Scaroni. Tra le righe, neppure molto celati, si vedono una serie di ammonimenti: dobbiamo provare ad evitare i soliti errori, dobbiamo dimostrare che la nostra capacità esecutiva è migliorata, dobbiamo cercare di non perdere questo treno.

Richiamando Yoda di Star Wars dobbiamo ammettere che questa volta per il nostro Paese si tratta di “fare o non fare, non c’è provare”. Il motivo è semplice: il Recovery Fund non è l’ultimo treno, è la nuova normalità del funzionamento dell’Europa.

La risposta alla Pandemia diventerà uno standard di politica economica con la BCE a fare politica monetaria (ultraespansiva nel medio termine) e Bruxelles a fare quella fiscale attraverso una progettualità coordinata e controllata centralmente (come è nelle sue corde). Le proposte che invieremo per i circa 200 miliardi del Next Generation EU sono il primo passo di un modello che vedremo ripetersi, una specie di finanziaria dell’Unione Europea. Sbagliamo il primo e al secondo giro ci troveremo dietro rispetto agli altri stati, avendo dato all’Europa più soldi di quelli che avremo preso e con un costo del debito in impennata.

Il nostro Paese deve avere una strategia industriale e questo, come insegna Porter il padre degli studi moderni sul tema, significa decidere soprattutto cosa non fare. Per fare questa scelta terribile sarà necessario ricordare che la competitività di un paese è fatta di quattro elementi: dotazione dei fattori, qualità della domanda, settori a supporto, strategie e struttura della concorrenza. Questi quattro elementi creano un sistema paese orientato al futuro, dinamico e fortemente competitivo.

Primo. La dotazione dei fattori deve essere specializzata per fornire pochi settori chiave. Disponibilità di lavoro a basso costo, di infrastrutture generiche, di aree industriali, di materie prime non sono elementi che differenziano un paese, sono disponibili in molti luoghi e non contribuiscono alla creazione di un vantaggio competitivo a livello internazionale. Quando la dotazione è specializzata diventa invece facile attrarre imprese dall’estero o fugare i dubbi di manager fuori classe come Scaroni, che su questo quotidiano ha dichiarato che avrebbe dei dubbi dovesse investire qui cinquanta milioni. Per creare questa dotazione di fattori distintivi è necessario scegliere in cosa specializzarsi. Una scelta strategica e politica terribile ma da fare, e senza prove.

Secondo. Un settore industriale non può eccellere a livello internazionale se non ha una sofisticata domanda interna: è questa che influenza come le imprese del settore percepiscono e rispondono ai bisogni dei consumatori più vicini. Una domanda interna ampia e all’avanguardia costringe le imprese a pensare nuove soluzioni e ad anticipare trend che saranno poi la base per competere a livello internazionale. In questo gli acquisti del settore pubblico, ad esempio nel trasporto, nelle tecnologie, nella sanità, possono spingere le imprese italiane all’innovazione, ma è necessaria anche una domanda privata forte e sofisticata. Per quanto possa affascinare i reazionari dello statalismo, la sola domanda pubblica è sterile ed inefficace.  

Terzo. I settori industriali su cui decideremo di specializzarci avranno bisogno di una presenza locale di sistemi industriali e di servizi di supporto. Questi ultimi cambiano velocemente a seconda dei trend tecnologici e di consumo, bisognerà quindi essere pronti a vederne sparire alcuni e nascere altri avendo come unico criterio il loro contributo ai settori chiave in cui abbiamo deciso di eccellere. Dovremo essere meno nostalgici e non perdere giorni a piangere sull’aver perso, ad esempio, la chimica di base ma chiederci cosa altro serve.

Quarto. Occorrono strategie d’impresa solide e struttura della concorrenza forte. Ci sono gli alpini dove ci sono le alte montagne. Non bisogna abbassare le montagne per avere alpini migliori, bisogna avere più alpini che competano per le vette alte. Rendere facile la vita alle imprese italiane è solo un modo per rendergliela difficile quando vanno all’estero, i nostri settori devono avere una fortissima competizione locale. Le imprese non vengono ad insediarsi qui perché la vita è più facile ma per accedere ad un sistema competitivo evoluto.

Nella corsa ai fondi della Next Generation EU si vedono chiaramente le diverse culture europee. I tedeschi, organizzati, hanno preparato in pochi giorni 15 pagine con una strategia industriale che sarà immutata per dieci anni; i francesi, eccellenti burocrati, hanno ridato vita a una enorme struttura di tecnici che è impegnata a predisporre un piano per il futuro della nazione; i portoghesi, seri e rispettosi, hanno mandato a Bruxelles una task force per non inviare progetti sgraditi. Noi italiani, creativi e poliedrici, stiamo elaborando un numero di progetti che potrebbe superare le due migliaia; forse in modo disordinato. Sembra per questo esserci un po’ di preoccupazione nel Paese. È ingiustificata: quando si è trattato di fare o non fare, l’Italia ha sempre dimostrato di saper tirare fuori il meglio di sé.

Bernardo Bertoldi (Docente di Family Business Strategy – Università di Torino – bernardo.bertoldi@unito.it)