Lo scontro tra Fortnite, da una parte, ed Apple e Google, dall’altra, esploso prima di ferragosto segnerà il futuro degli store di applicazioni e, come spiegato su questo quotidiano da Simonetta, è uno scontro feroce ed enorme per le sue implicazioni sul modello di business con cui oggi funzionano i nostri telefoni e tablet.

Apple e Google, come altri intermediari, trattengono il 30% sui ricavi delle applicazioni vendute sui loro store (39 miliardi per l’Apple e 21 miliardi per Google). La percentuale fu stabilita, pare, nel 2008 da Steve Jobs a sconto sul 35% applicato dalle TV via cavo per distribuire il loro contenuto (film, serie e sport).

Fortnite, come altri, ritiene questa percentuale eccessiva e ha deciso di violare l’accordo di distribuzione siglato con i due giganti e di vendere direttamente ai giocatori offrendo loro uno sconto del 20% e trattenendo per sé il 10%. Simultaneamente ha fatto causa a Apple e Google, che avevano bloccato la possibilità di aggiornare o scaricare l’applicazione dai loro store.

Chi ha ragione? Come finirà? Per rispondere a queste domande non semplici è necessaria un po’ di teoria manageriale non semplice. In management esiste una legge della distribuzione del valore creato per il consumatore, scoperta da Brandenburger e Stuart, che definisce il range entro il quale Fortnite può muoversi. La teoria è sconosciuta ai più ma ha dato vita al “buzzwording” sul valore che ancora oggi affligge ogni riunione aziendale.

La legge afferma che lungo la catena che produce qualcosa per cui il consumatore è disposto a pagare, ogni partecipante come massimo ha diritto al valore che crea: questo è definito dal valore creato da tutti i partecipanti alla catena meno il valore creato da tutti gli altri partecipanti. Il consumatore è disposto a pagare 10€ per ottenere mille V-Bucks (la moneta con cui acquistare elementi per giocare), Fortnite sostiene che Apple e Google non hanno diritto a 3€ perché senza di loro la catena del valore può ottenere di più. Dalla scorsa settimana senza passare dagli store, Fortnite ottiene 1€ in più e ne lascia 2€ al consumatore. Il consumatore, però, non può più ottenere aggiornamenti del software e, se la diatriba continuerà, il gioco sui tablet diventerà obsoleto rispetto a quello sulle console e pc. Se avesse ragione Fortnite, il consumatore dovrebbe preferire spendere il 20% in meno per un gioco che non si aggiorna rispetto al 30% in più per un gioco che si aggiorna. Considerando che gli acquisti sono concentrati su nuovi prodotti resi disponibili con gli aggiornamenti, è probabile che il consumatore preferisca la seconda opzione.

La legge del valore definisce anche la quantità minima che un partecipante può ottenere: questa è data dal valore che il partecipante potrebbe ottenere aderendo ad un’altra catena del valore. Fortnite è un gioco sviluppato per console e pc dove si ottengono prestazioni migliori e questa è l’altra catena del valore a cui partecipa. In quest’ultima le fee applicate sono più basse, tra il 3% e il 10%. Di conseguenza, Fortnite avrebbe interesse a lasciare la catena del valore dei tablet e telefoni se questa costasse più del 10%. Da qui deriva lo sconto del 20% fatto su questa catena ai consumatori: Fortnite punta a lasciare il 10% ad Apple e Google come fa con altri intermediari nella catena del valore delle console e pc. Bisogna però considerare che console e pc non danno al consumatore in termini di luoghi e occasioni le stesse possibilità di gioco di tablet e telefoni. Anche in questo caso, se avesse ragione Fortnite, il consumatore dovrebbe preferire spendere il 20% in meno per poter giocare solo da portatile o in casa collegato a uno schermo rispetto a pagare il 30% in più ed essere libero di farsi una partita dove e quando vuole. Considerando il numero di giocatori su tablet e telefono è probabile che il consumatore preferisca la seconda opzione.

Per la teoria manageriale, quindi, Fortnite punta ad appropriarsi del massimo valore possibile pagando solo il 10% agli intermediari. Non è un caso che la perfetta campagna di comunicazione lanciata la scorsa settimana abbia puntato su due elementi diversi dal valore per il consumatore. Primo, la posizione dominante dei giganti del web: un elemento che è in discussione da tempo ma per motivi ben diversi dalle fee di distribuzione delle app. Secondo: far passare Apple come una corporation omologatrice, proprio come quelle che lo stesso Steve Jobs voleva combattere nel 1984.

La guerra che seguirà a questo casus belli coinvolgerà molti altri attori. Tutti gli sviluppatori che usano il software di Epic, Unreal Engine, come base per le loro app, come ad esempio Microsoft, e tutti i produttori di contenuti, come ad esempio Spotify e molte testate di quotidiani. Resta il fatto che il consumatore potrà solo assistervi senza molta voce in capitolo, a iniziare da chi aspettava con trepidazione e non avrà l’aggiornamento di Fortnite previsto sul suo tablet per oggi.