Howard Gardner ha definito leader una persona che, con parole ed esempio, influenza i comportamenti, i pensieri e i sentimenti di un numero significativo di persone. familyandtrends non sa molto di leadership ma scrivendo un caso di Harvard su Sergio Marchionne ha imparato da Rob Kaplan che “leader” è qualcuno che ha dei “follower” e che in un mondo dove di “follower” ce ne sono fin troppi vi è anche una preoccupante mancanza di “leader”. Una delle spiegazioni comunemente accettate è che solo grandi crisi creano grandi leader, e.g. Churchill non sarebbe stato Churchill senza la seconda guerra mondiale. È anche per questo che quando oggi si incontrano casi di leader è bene approfondirli.

Carlo Mazzone, allenatore di calcio, è stato un leader che non sfigurerebbe nella lista di Gardner che va da Oppenheimer a Sloan, da Rooslvelt a Luther King. Un leader, dice Gardner, deve agire con passione, essere autentico e coerente, guidare e migliorare chi lo segue. Per analizzare il caso si può guardare il documentario Come un padre.

Agire con passione. Pep Guardiola, che nel calcio ha vinto tutto, dice: “a Brescia si vinceva poco ma quando si vinceva quanto si godeva”; detto da uno che a Barcellona aveva vinto la prima Coppa dei Campioni del club dimostra che la passione nasce da “come” e non “da cosa” di vince (come familyandtrends sostiene).

Essere autentico e coerente. Autentico: Mazzone è sempre stato romano e romanista, non ha mai smesso di chiarirlo, non ha mai cercato di togliersi quell’essere di Trastevere, non ha mai cambiato se stesso per compiacere qualcuno o fare più carriera. Coerente: quando ai suoi calciatori è stato chiesto il perché della famosa corsa sotto la curva dei tifosi dell’Atalanta, quasi meravigliati tutti hanno risposto: “perché lo aveva promesso, quando abbiamo pareggiato sapevo sarebbe partito”. Un gesto molto criticabile, un allenatore dovrebbe dare l’esempio ai suoi calciatori e non istigare alla violenza. Baggio lo commenta così: “Va bene sempre tutto, ma ci sono delle cose che non vanno toccate”, facendo riferimento agli insulti alla mamma che era morta tra le braccia di Mazzone. Forse non fu proprio un caso che Baggio fece 3 goal quel giorno e spinse il suo leader sotto quella curva per punire chi aveva toccato una cosa che non va toccata. Un gesto, comunque, non bello per cui chiese scusa in primis a Collina che lo espulse (“Buttame fori, me lo merito”), ma un gesto autentico e coerente; un gesto coraggioso: non si ha memoria di un altro allenatore volato sotto la curva dei tifosi avversari.

Guidare e migliorare chi lo segue. Totti: “se non avessi incontrato Mazzone non so se sarei diventato il calciatore che sono”. Lo ha cresciuto facendolo dormire in stanza con il suo idolo Giannini (“la notte stavo sveglio e lo guardavo per convincermi fosse tutto vero”) e togliendolo dai riflettori, nel vero senso della parola: Mazzone entrò di forza nella stanza della prima conferenza stampa di Totti e lo porto via dicendo “che ci fai qua?”. Come non confrontarlo con allenatori ed entourage vari che sotto i riflettori mettono ragazzini in erba per aumentarne il valore ma finendo per farne profili digitali invece di calciatori. A Bologna ridiede fiducia a un Signori reduce da un grave infortunio; da neoallenatore entro negli spogliatoi e disse: “io qui parlo solo con Beppe, se non sapete chi è andate a vedervi il tabellino dei suoi goal”. Quando Guardiola arrivò a Brescia dal Barcellona quasi facendo un favore ad una provinciale, lo convocò e gli disse: “io non ti volevo, ti ha preso il presidente”, glielo disse sino a metà campionato, Guardiola voleva andarsene ma come poteva dargliela vinta? Come poteva il grande capitano del Barcellona non convincere questo allenatore di provincia? Invece di svernare in Italia, Guardiola ha imparato a fare l’allenatore e gli è sempre stato riconoscente: dall’invito alla finale di Champions a Roma, “Mister se vieni la vinco” all’ultimo omaggio presentandosi in sala stampa con la maglietta di Mazzone. Il capolavoro fu Baggio a Brescia: Baggio era stato il più forte calciatore del campionato più bello del mondo e si allenava da solo ora che quel campionato non era più il più bello del mondo; Mazzone non se ne dava pace, lo portò a Brescia e regalò a tutti i tifosi gli ultimi sprazzi di quella bellezza. In questo caso adottò un approccio completamente diverso: a Baggio era permesso tutto, decideva lui come allenarsi e come giocare. I componenti di un gruppo non sono tutti uguali. Mazzone era terrorizzato dai cani, tanto che la presenza di un cane nei pressi del campo era costata una brutta strigliata ad un calciatore; poche settimane dopo al figlio di Baggio scappò il labrador che abituato a giocare a casa si mise a inseguire la palla durante l’allenamento. Mazzone sul piede di guerra: “di chi è quel cane!” Di Baggio mister… “ah fatelo giocare povero cucciolo”. Guardiola afferma che lì ha imparato che in una squadra non si è tutti uguali.

Mazzone faceva capire che la differenza è sul merito: faceva la doccia con i suoi calciatori (anche se quando si perdeva intorno a lui si creava un vuoto per il terrore di incontrare il suo sguardo) e tutti confermano “qualunque problema uno dei suoi calciatori avesse, lui lo veniva a sapere e lo aiutava”. Quando morì Vittorio Mero, un suo calciatore al Brescia, riunì la squadra e disse: “possiamo fare qualcosa, salviamoci e diamo il nostro premio salvezza al figlio di Vittorio”.

Saper guidare significa anche saper ispirare negli altri i propri valori. Lo scudetto del 2000 era già della Juve, bastava per stare davanti alla Lazio un pareggio contro un Perugia già salvo, che aveva perso le ultime tre partite, guidato da un romanista sfegatato. Gente come Ferrara, Montero, Conte, Davids, Zidane, Del Piero, Inzaghi contro un gruppo di onesti giocatori di provincia. Tra questi, un giovane Materazzi afferma: “nel prepartita si sedette con noi a pranzo come faceva sempre, bastò lo sguardo per capire l’importanza di vincere quella partita”. Nessuno doveva permettersi di dubitare che con Mazzone si entra in campo per dare tutto, sempre. Certo averla vinta significava aver dato lo scudetto alla Lazio, come proteggere la propria autenticità romanista? Nel post partita fiero della vittoria, dopo aver messo in chiaro le cose: “abbiamo voluto onorare il gioco del calcio, che ultimamente era stato messo in discussione…per far vincere lo scudetto alla Lazio ci voleva un romanista”.

Forse ha ragione chi fa notare che per avere grandi leader ci vogliono grandi crisi, ma forse anche piccoli momenti di sport possono darci grandi leader da cui imparare.