“L’imprenditore è colui che persegue un’opportunità al di là delle risorse che possiede”. La definizione di Howard Stevenson è uno dei punti chiave per sostenere e spiegare alle famiglie imprenditoriali che il loro compito principale è crescere e dare all’impresa di famiglia almeno un imprenditore in ogni generazione.

Un giovane, durante una pausa della spiegazione, si avvicina e chiede qualche informazione per poter “internazionalizzare” la sua azienda entrando nel mercato italiano. Definita l’opportunità, come Stevenson insegna, la domanda è: quali risorse non hai e ti serve trovare: “devo poter aprire un conto in banca”. Nell’epoca del fintech, non sembra qualcosa di molto complicato neanche per un paese che tende alla burocrazia come l’Italia, ma è in quel momento che la prospettiva cambia: siamo all’ESA, l’École Supérieure des Affaires, la principale business school di Beirut dove nonostante le difficoltà del paese ci sono giovani (e meno giovani) che continuano a identificare opportunità, a trovare modi per perseguirle e a creare imprese.

Questo ragazzo con il suo progetto digitale pensato per evolvere l’azienda di famiglia rappresenta l’evidenza empirica del concetto: “gli alpini esistono dove ci sono le montagne e non viceversa”. Alcuni anni fa, ad uno dei tanti incontri governativi per studiare una riforma per semplificare il “doing business in Italy”, si discuteva di giorni e costi necessari per avviare un’attività, di vincoli e pesi imposti dalla burocrazia, di complessità generate dalle rendite di posizione etc. Un imprenditore sbottò: “trovo che tutte queste complessità burocratiche mi siano state molto utili per allenarmi alle difficoltà, poi andare all’estero è stato molto più facile: per avere più gente che sale sulle vette, non dovete abbassare le montagne, dovete aumentare gli alpini”. Da quel giorno, familyandtrends ha capito che l’unica cosa che conta è l’educazione imprenditoriale.

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Il Libano ne è la conferma: nonostante il contesto difficile ci sono imprenditori determinati. E forse in Italia ci siamo dimenticati cosa sia “difficile”. L’inflazione, ad esempio, è un problema. Lo è anche da noi, ma qui è stata del circa 50% all’anno: e una cosa è la percentuale un’altra è fare colazione dal solito fruttivendolo, tirare fuori 1.000 lire libanesi e vederlo sorridere amaramente mentre dice che quella banconota non vale più niente, ci vuole quella di fianco da 200.000. Attrarre e trattenere i talenti è chiave per lo sviluppo delle imprese: in Libano devi riuscire ad aumentare loro lo stipendio almeno del 50% ogni sei mesi/un anno altrimenti vanno altrove. Il costo delle materie prime è un problema, e quanto sia aumentata l’energia lo sappiamo bene in Italia: in Libano non c’è; per avere continuità nelle attività produttive si usano generatori indipendenti dalla rete. Per svilupparsi è necessario avere un rapporto stabile e di fiducia con alcune banche: nel nostro Paese questo ha funzionato sufficientemente bene, tanto da permettere lo sviluppo a leva di molte imprese: in Libano non si può aprire un conto corrente o pagare con una carta di credito; il sistema bancario è bloccato dalla crisi economica e finanziaria, dall’inflazione e dalla necessità di ristrutturare i propri bilanci.

Certamente in Libano oggi le montagne non sono basse, eppure ci sono alpini che vogliono scalare: il venerdì pomeriggio il direttore di SmartEsa, l’incubatore della business school, ti riceve prima delle 6, sta lavorando ad una start up sul vino libanese (209Libanesewine) ed ha fretta perché alle 7 dopo il “fasting” (che sarebbe la traduzione oggi di moda di digiuno del Ramadan) arrivano gli imprenditori. Gli ambiti di attività delle imprese incubate sono i soliti di moda un po’ ovunque, la strategia però è trasformare a basso costo in Libano e vendere all’estero per avere accesso a consumatori con capacità di spesa e valuta pregiata. Forse in Italia lo abbiamo dimenticato ma è la strategia degli imprenditori italiani degli anni ’60: quelli del miracolo. Forse ci siamo un po’ dimenticati cosa sia un “contesto difficile”, cosa sia scalare le montagne. Forse ci siamo dimenticati lo spirito imprenditoriale perché abbiamo montagne troppo basse. Siamo un po’ come quel Vecchio Scarpone che l’alpino trova nel ripostiglio polveroso ed al quale canta: “Come un tempo lontano, in mezzo al fango, con la pioggia o col sol, forse sapresti, se volesse il destino, camminare ancor”. Perché essere imprenditori questo significa: perseguire opportunità al di là delle risorse che si possiedono e camminare in salita su irte montagne senza aspettare che qualcuno le abbassi: così il nostro Paese ha camminato dal tempo del miracolo e, forse, camminerà ancora.