In Europa tra il 1800 e il 1850 la produttività della terra aumentò per effetto delle innovazioni della rivoluzione industriale; di conseguenza la rendita terriera si azzerò: la terra non era più un bene scarso. Questo singolo evento pose fine al sistema sociale europeo basato sulla conquista, possesso e trasmissione della terra e organizzato intorno alla nobiltà che aiutando il re a conquistare si guadagnava il diritto al possesso della terra. La trasmissione avveniva poi con il maggiorasco: lasciando tutto al primo figlio maschio si assicurava il mantenimento delle economie di scala che una grande quantità di terra offriva. Chi si oppose al cambiamento, come la nobiltà inglese con la tassa sul grano, fu spazzato via. Chi si adattò, come i nobili d’avanguardia e la nuova borghesia artigianale, prosperò.

Oggi ci troviamo di fronte a un momento altrettanto storico: il capitale non assicurerà più una rendita sicura e facile perché non è più un bene scarso. Tutto è iniziato il 15 agosto 1971, quando il presidente Nixon sospese il sistema di Bretton Woods che prevedeva la convertibilità di 35 dollari in un’oncia d’oro. Il sistema aveva valenza internazionale, in quanto ogni moneta poteva essere convertita in dollari e il dollaro era collegato all’oro.

Negli anni settanta il PIL mondiale era uguale agli investimenti finanziari, circa 10 trilioni; da allora la quantità di asset finanziari è cresciuta più del PIL. Nel 2007, all’inizio della crisi, il PIL era circa 60 trilioni e gli asset finanziari 200. Oggi il PIL è circa 80 e gli asset finanziari circa 300. La quantità di capitale che ricerca un rendimento è più grande di quella che serve all’economia reale; se ipotizziamo che il 10% del PIL venga destinato a remunerare il capitale, il rendimento medio degli investimenti sarà 2,7%.

Questi dati uniti alle decisioni degli ultimi mesi dei banchieri centrali supportano la tesi che i tassi “zero” non siano una anomalia ma la norma del futuro, futuro in cui i risparmiatori dovranno adattarsi. Non è lecito, inoltre, aspettarsi, come giustamente ha fatto notare Jean Pierre Mustier, CEO di Unicredit e presidente EBF, che il sistema bancario continui ad assorbire i tassi negativi.

I due atteggiamenti più comuni di fronte alla zero gravity dei risparmi sono: la liquidità o il lungo termine. Nel primo caso, per proteggersi dal rischio e dalle crisi, il risparmiatore tiene i risparmi sul conto corrente o in investimenti di brevissimo termine. Questo mette al riparo da perdite di valore improvvise generate dalla volatilità ma nel lungo termine espone il risparmio all’erosione dell’inflazione. L’inflazione non è più una piaga economica e non ha più la dimensione degli anni ottanta: fu battuta da un grande banchiere centrale, Paul Volcker, che, ironia della sorte, era anche il ministro del tesoro americano nell’agosto del 1971. L’inflazione, però, resta e erode il capitale di qualche punto ogni anno.

Il secondo atteggiamento è allungare il periodo di investimento, nel lungo termine il ritorno sul capitale assorbirà la volatilità di breve e sarà accettabile o buono, a patto che si resti investiti e che gli investimenti siano scelti bene.

Come in ogni fase di adattamento epocale, non esiste una ricetta “giusta” e fare previsioni è velleitario. Come ha sentenziato Galbraith: “La sola funzione delle previsioni in campo economico è quella di rendere l’astrologia un po’ più rispettabile”. Si possono però applicare alcune regole di buon senso e in questo le famiglie che risparmiano possono trarre insegnamenti utili dal capitalismo familiare.

Primo: pensare in generazioni. Può essere opportuno suddividere il proprio capitale in ciò che può servire nel breve e medio termine e in ciò che deve essere trasmesso alle generazioni successive o che servirà solo dopo anni, ad esempio in vecchiaia. La prima parte deve essere tenuta liquida e protetta dall’inflazione, la seconda deve essere mantenuta investita per molto tempo. Per farsi un’idea di quanto è “molto tempo” ci viene in aiuto Fra Luca Pacioli, studioso e religioso italiano del 1500, che definì la regola del 70: il numero che diviso per il rendimento atteso restituisce il numero di anni necessari a raddoppiare il capitale. Con un rendimento del 2,7% in 26 anni si raddoppia il capitale.

Secondo: occuparsi del proprio patrimonio. John Davis, professore di capitalismo familiare all’MIT, ha dimostrato che le famiglie imprenditoriali che rimangono ricche nel tempo sono quelle in cui alcuni familiari si prendono attivamente cura del patrimonio. Per i risparmiatori questo significa scegliere dei buoni consulenti, costruire un rapporto di fiducia e non avere paura della volatilità e delle crisi. Warren Buffet ha detto: “Per avere successo in borsa è importante avere paura quando gli altri sono avidi ed essere avidi quando gli altri hanno paura”.

Terzo: educare chi dovrà ricevere il patrimonio. Il lungo termine può implicare che qualcuno dopo di noi debba ricevere il risparmio: è necessario che impari a prendersene cura come chi l’ha preceduto. I patrimoni ereditati sono più difficili da salvaguardare dei patrimoni creati e bisogna aiutare chi li riceve a occuparsene in modo saggio.

L’Italia è un paese di saggi risparmiatori che hanno contribuito con i loro sacrifici a farci diventare un grande paese laborioso ed industriale: è necessario che chi ha generato o ricevuto questo risparmio si adatti ad un futuro di tassi “zero”.

Bernardo Bertoldi (Dipartimento di Management, Università di Torino – bernardo.bertoldi@unito.it)