L’epidemia di COVID19 ha dimostrato alla business community che lo smart working, è una modalità di lavoro sostenibile. Lavorare da remoto è tuttavia possibile solo in presenza di una connessione a internet performante. L’Italia non è ancora all’avanguardia in tema di connettività, e non avere infrastrutture adeguate significherebbe azzerare la possibilità di competere in una fase economica così difficile. La connettività a banda ultra larga diventa pertanto un obiettivo strategico del paese.

Alla luce di tutto ciò emerge come la fibra ottica sia il mezzo di trasmissione più avanzato per garantire agli italiani una connessione adeguata per studiare, lavorare e intrattenersi; rispetto al rame, non subisce l’influsso degli agenti atmosferici, non si deteriora, mantiene un’elevata capacità di trasmissione anche sulla lunga distanza. Si giunge ora al secondo livello di dibattito, se le infrastrutture FTTC (miste fibra-rame) siano in grado di assicurare all’Italia una connessione all’avanguardia o se sia imprescindibile la diffusione della tecnologia l’FTTH (Fiber To The Home, infrastruttura interamente in fibra ottica). Ne emerge immediatamente come l’Italia debba puntare a quest’ultima, sebbene con alcuni anni di ritardo. Una conferma del consensus sull’obsolescenza del rame si ha da diversi operatori europei (Telefonica in primis) che stanno attuando uno switch-off della tecnologia e soprattutto dall’Unione Europea, che ha decretato gli obiettivi di connettività al 2025 con la Gigabit Society. Entro 5 anni tutti i luoghi pubblici del continente dovranno viaggiare a 1 Gigabit al secondo, velocità raggiungibile esclusivamente da reti in fibra prive di tratti di rame.

C’è però da tenere presente le implicazioni che l’istallazione della tecnologia FTTH ha sulla collettività. Infatti mentre la tecnologia FTTC sfrutta il rame dal nodo all’utilizzatore, la FTTH richiede la posa della fibra fino all’utilizzatore stesso; gli istallatori hanno bisogno di accedere a condomini e abitazioni.

L’altra implicazione importante è relativa all’utilizzo che si fa della rete; infatti la FTTH mantiene le sue performance solo cablata; nessuna rete wi-fi è in grado di trasmettere a velocità superiori alla FTTC. Pertanto per le utenze wireless si rischia un investimento non ripagato

Qual è a questo punto il modello di business migliore per favorire la diffusione di una connettività ultraveloce e lo sviluppo di servizi innovativi? Negli ultimi anni è emerso il modello wholesale-only: operatori infrastrutturali puri, privi di un segmento retail, che mettono a disposizione la loro infrastruttura a tutti gli interessati a parità di condizioni. Non è un caso dunque che l’UE abbia deciso di disciplinarlo nel Codice delle Comunicazioni Elettroniche, perché ritiene che l’operatore wholesale-only possa interamente dedicarsi allo sviluppo di una rete sempre più performante da offrire a operatori che sono visti esclusivamente come clienti e non come concorrenti. Un orientamento condiviso anche dal Legislatore italiano nel decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, art.23 poi convertito con la legge 17 dicembre 2018, n. 136, in cui questo modello viene indicato come il più adatto per favorire gli ingenti investimenti necessari a realizzare una nuova rete di accesso ad altissima capacità, a disposizione di famiglie e imprese.

L’infrastruttura di telecomunicazioni al pari di quella elettrica è un asset strategico del Paese. Detto questo, data la necessità di accelerare sulla copertura in fibra, si dibatte se sia più utile il modello di competizione su reti diverse o quello di un’infrastruttura unica, wholesale-only o verticalmente integrata. Sia Governo che Parlamento hanno negli ultimi anni espresso una preferenza per una infrastruttura unica, che eviti il rischio di sovrapposizione di reti nelle stesse aree e di assenza di copertura in altre. Esistono ovviamente due forze contrapposte; la necessità di assicurare una libera competizione agli operatori, che fa tendere verso reti separate, e l’efficienza operativa e di cablaggio, che fa tendere verso un’infrastruttura unica (si eviterebbero sovrapposizioni d’istallazione).

Perché non attingere all’esperienza della rete di trasmissione energetica evoluta con l’apertura del mercato del 2000 per codificare quali caratteristiche dovrebbe avere quest’eventuale infrastruttura unica. Dovrebbe essere wholesale-only, cioè a disposizione di tutti gli operatori a parità di condizioni e posseduta da un soggetto privo di segmento retail. Ciò vuol dire che laddove fosse sviluppata da un operatore verticalmente integrato, si dovrebbe operare una chiara separazione tra la gestione dell’infrastruttura e quella del traffico sulla stessa basato su logiche di mercato; esattamente come è successo a Enel nello scorporo di trasmissione e distribuzione.

Un’ipotesi del genere impegna molto le Autorità preposte alla tutela della concorrenza (italiane ed europee, dall’AGCM alla Commissione UE, dalla Corte costituzionale alla Corte del Lussemburgo); la regolamentazione dell’utilizzo deve essere basata su rigorosa separazione societaria e trasparenza, Service Level Agreement molto rigidi.

Gli incentivi alla migrazione dal rame alla vera fibra e quelli al continuo miglioramento dell’infrastruttura, devono essere basati su meccanismi di remunerazione degli investimenti. Il mercato dell’energia dopo anni di revisioni ha trovato un modello di remunerazione molto interessante. La tariffa è basata su cinque voci fondamentali; i costi operativi dell’operatore, la svalutazione degli investimenti fatti, il ritorno atteso sul RAB (Regulated Asset Based), la qualità tecnica (funzionamento della rete) e commerciale (risposta al cliente).

Probabilmente bisognerebbe partire da uno schema già raffinato nel corso di un ventennio per identificare il modus operandi più efficace per questo nuovo asset strategico del Sistema Italia.

Bernardo Bertoldi (Docente di Management, UniTo – bernardo.bertoldi@unito.it)          

Gianfranco Scalabrini (Managing Partner 3HPartners – gscalabrini@3hpartners.com