A inizio settembre Laxman Narasimhan è diventato il nuovo amministratore delegato di Starbucks. Howard Schultz, fondatore ed attuale AD ad interm, lo accompagnerà sino ad aprile. Il caso, secondo familyandtrends, può essere utile a spiegare l’enantiodromia tra imprenditore e manager. Enantiodromia significa “corsa nell’opposto” ed è usata da Eraclito per illustrare come le cose si sviluppino grazie all’armonia degli opposti. Nel caso di imprenditore e manager, l’errore di fondo è pensare che le due figure siano mutualmente esclusive, mentre queste quando convivono nell’impresa sono una fonte inesauribile di vantaggio competitivo.

L’idea di imprenditore e manager come mutualmente esclusivi nasce alla fine della seconda guerra mondiale, nell’infanzia della teoria manageriale, quando Chandler pubblica The Visible Hand per dimostrare che il successo delle grandi corporation americane non è frutto del mercato, della “invisible hand” di Adam Smith, ma di una nuova figura: il manager professionale che domina le forze di mercato. Il libro è del 1977 e poco prima erano stati pubblicati i due libri su cui si fonda la teoria manageriale attuale: il libro di teoria del professore Peter Drucker, The Concept of the Corporation del 1954, e il libro di pratica del manager Alfred Sloan, My Years with General Motors del 1963.

In quel periodo, il sistema organizzativo dell’esercito americano importato nelle imprese ha avuto talmente successo da far dimenticare che all’impresa servono entrambe le figure: il manager deve gestire la complessità, pianificare e fare budget, organizzare e assegnare le risorse, controllare e fare problem solving; l’imprenditore deve intravedere e perseguire le opportunità al di là delle risorse che attualmente si possiedono. In Formula 1, dove il percorso è definito e la massimizzazione della performance è chiave, si può avere un solo pilota super professionale; in un rally o in una gara nel deserto dove capire quale sia la strada e l’efficacia sono altrettanto importanti, ci vuole un co-pilota, qualcuno che identifica la strada migliore e “guida il guidatore”. Abbagliato dall’enorme successo delle corporation americane del dopoguerra, Chandler non ha pensato che gli Eisenhower e i Montgomery hanno avuto successo grazie alla relazione stretta e tesa (enantiodromica appunto) con gli Eisenhower ed i Churchill.

Schultz nella primavera del 22 ha ripreso la guida di Starbucks, come aveva già fatto nel 2008, da allora ha cambiato il CEO, assumendo il ruolo ad interim, e buona parte della prima linea. Quando lo fece nel 2008 disse: “il male dell’arroganza si è impadronito dell’azienda e ci ha fatto inseguire, premiare e misurare le cose sbagliate: il valore dell’azione, il fatturato totale per punto vendita, l’efficienza operativa. Il tutto a spese del cliente”. Deve averlo pensato anche questa primavera se la sua prima decisione è stata quella di cancellare un piano di riacquisto di azioni proprie da 20 miliardi. A metà settembre ha presentato un nuovo piano strategico che prevede di continuare a crescere con i prodotti più complessi, frappuccini, Grande Mocha a più gusti, etc, risolvendo con la tecnologia la maggior complessità di preparazione che aveva reso insostenibile il carico di lavoro per i baristi e creato tensioni con i sindacati. Per eseguire il piano, pochi giorni prima, ha presentato il nuovo amministratore delegato.

Howard Schultz e Laxman Narasimhan

Può essere discutibile chiamare un manager ad eseguire un piano che non ha contribuito a disegnare, ma evidenzia in modo eccezionale i due ruoli: l’imprenditore che vede l’opportunità e disegna come perseguirla cercando le risorse che mancano, in questo caso tecnologia e capacità manageriale, e il manager che persegue con efficienza e precisione la strada tracciata. Schultz ha certamente la stoffa dell’imprenditore, ha fatto una carriera da capo delle vendite in Xerox e in Hammarplast, poi in un viaggio in Italia ha visto i nostri bar e ha fondato una start up, “Il Giornale”, per copiarli; qualche anno dopo ha comprato una torrefazione di Seattle e l’ha sviluppata in ciò che oggi è Starbucks. Ciò che lo aveva colpito dei bar italiani era il rapporto tra il barista e il cliente e questo è il DNA di Starbucks, se i suoi baristi sono troppo impegnati a mixare le nuove complesse bevande che piacciono ai giovani non hanno il tempo e la voglia per sviluppare quel rapporto. Ecco il motivo dell’intervento dell’imprenditore: ristabilire il DNA che differenzia l’azienda dai concorrenti.

Ci possono essere aziende solo manageriali o solo imprenditoriali? Certo e per alcuni periodi può essere un bene. Il “breveterminismo” americano è come una gara di Formula 1, in quel caso basta avere piloti da monoposto super efficienti; il “creativismo” italiano è come una corsa nel deserto dove serve cambiare strada e pensare nuove vie continuamente. La compresenza delle due figure è però la soluzione migliore per quanto l’assetto e l’affiatamento sia difficile, enantiodromico.

In Italia abbiamo un caso unico al mondo di compresenza di piloti, nel consiglio di amministrazione di ERG lavorano a fianco dell’attuale amministratore delegato Paolo Merli: tre rappresentanti della famiglia imprenditoriale, Edoardo e Alessandro Garrone e Giovanni Mondini, e due ex amministratori delegati, Alessandro Garrone e Luca Bettonte. L’azienda può contare su un organo che raccoglie l’esperienza di più di vent’anni di amministrazione e più del 60% degli azionisti. In questo modo si possono compenetrare le attività manageriali (gestire la complessità, pianificare e fare budget, organizzare e assegnare le risorse, controllare e fare problem solving) e quelle imprenditoriali (intravedere e perseguire le opportunità al di là delle risorse che attualmente si possiedono, mantenere il DNA imprenditoriale). Questa capacità in ERG può contribuire a spiegare l’enorme successo dell’azienda nell’intravedere vent’anni fa l’opportunità delle energie alternative e la capacità di eseguire un passaggio dalla raffinazione del petrolio alla produzione di energie pulite. Senza imprenditorialità non si sarebbe potuta intravedere l’opportunità, senza managerialità non si sarebbe potuto eseguire una trasformazione tanto complessa. La presenza di Alessandro quale azionista e amministratore delegato in una fase di passaggio dimostra anche che le due figure, in casi eccezionali, possono essere incarnate dalla stessa persona.

Ci possono essere imprenditori-manager e manager-imprenditori ma non si può sempre puntare ad avere figure eccezionali. Ogni volta che si forza un’organizzazione aziendale per farla essere solo “imprenditoriale” o solo “manageriale” la si impoverisce e si mette a rischio o la sua capacità di costruire il futuro o di eseguire il presente.

Schultz ha 70 anni e sembra voler correre per la presidenza degli Stati Uniti. È probabile che fra 15 anni non potrà intervenire con la stessa forza per far “ritrovare la strada” all’azienda che ha fondato. Cosa succederà allora? Schultz, come tutti i fondatori, deve decidere se affidare il futuro al mercato e ai manager o se dar vita ad una famiglia imprenditoriale, quella delicata istituzione che tiene unito l’azionariato e assicura all’impresa in ogni generazione almeno un imprenditore, che interviene per mantenere ed evolvere il DNA e perseguire opportunità al di là delle risorse che attualmente si possiedono. Fra tutte le decisioni prese nel 2022, Shultz deve ancora prendere quella che avrà il maggior impatto futuro sulla sua azienda e, soprattutto, sui suoi baristi e sui suoi clienti…