Siamo in un periodo di cambiamento rapido e radicale e non sono mancate idee e proposte per affrontarlo dal punto di vista macro economico. Il sistema economico potrà essere aiutato, per un periodo anche non brevissimo, da una politica monetaria ultra espansiva e da interventi fiscali più o meno massicci a seconda della capacità di indebitamento degli stati (o dell’Europa). Il destino delle economie europee e dei nostri standard di vita, però, dipenderà, alla fine, da come le aziende sapranno reagire: di questo si è parlato meno.

Le aziende dovranno decidere in un contesto nuovo come competere nel lungo termine e su quali business puntare: sono ambiti in cui, per fortuna, la scienza manageriale ha già messo a punto buone teorie. Porter ha insegnato che quando si pensa in modo strategico bisogna assumere che nel lungo termine i settori e le condizioni competitive saranno diversi e bisogna focalizzarsi maggiormente sulle variabili interne e sulla capacità di evolvere. La pandemia ha portato un cambiamento di questa portata in pochi mesi: la capacità di evolvere sarà misurata in mesi e non in anni.

Tucidide ci ha insegnato che la peste non cambia la natura umana, la amplifica. Si può dire lo stesso dei settori industriali che sperimenteranno un cambiamento amplificato nei prossimi 18/36 mesi. Il settore dell’energia ne è un interessante esempio. Il virus è piombato su un settore dove energie rinnovabili, elettrificazione della mobilità, digitalizzazione del consumatore stavano già agendo. Negli ultimi dieci anni il costo medio dell’investimento per generare un megawatt ora è sceso del 87% per il solare, del 62% per l’eolico offshore e del 56% per l’onshore. Da fine febbraio si è aggiunta la “diatriba internazionale” sul petrolio ad accelerare ulteriormente il cambiamento e la pandemia ha accelerato la transizione energetica con un ruolo sempre più centrale del gas come commodity di riferimento. Durante il lockdown la domanda di energia è scesa del 16%, ma è ragionevole aspettarsi sarà riconfigurata in futuro, ad esempio per tener conto dell’impatto dello smart working e della maggior dispersione degli ambienti dove si lavorerà.

Per evolvere le aziende devono riconfigurare tre elementi: raggio d’azione, competenze chiave e organizzazione. Queste si modificano insieme ma se una non supporta l’altra, l’impresa non ha successo nell’evoluzione. In questo processo di ricerca di nuovi assetti, la capacità di arrangiarsi italiana è fonte di vantaggio competitivo: serve creatività, adattabilità, reattività che devono dar vita ad uno strutturato processo d’innovazione. Due nostre aziende hanno dimostrato in questi anni quanto evolvere sia importante: Saipem e Sorgenia.

Saipem ha ampliato con successo il suo raggio d’azione verso il gas e le rinnovabili, aumentando il proprio impegno nelle infrastrutture lineari come reti ferroviarie, acquedotti e scommettendo su brevetti proprietari nel green energy offshore e nella cattura della co2Questo è stato possibile per il patrimonio di competenze ingegneristiche, navali e tecnologiche create in decenni , lo sforzo manageriale nell’evolverlo e farlo diventare fonte di vantaggio competitivo in altri settori, adattando l’organizzazione: creare nuove business unit, rivedere i ruoli e aprirsi all’open innovation. Risultato: oggi oltre il 70% del suo portafoglio ordini da 25 miliardi è slegato dal greggio. E la trasformazione compiuta metterà l’azienda al riparo dalle oscillazioni dei mercati finanziari, pur scontando valutazioni che non ancora tengono pienamente conto dei cambiamenti del modello di business.

Sorgenia, dopo una profonda crisi, ha ampliato il suo raggio d’azione verso il consumatore finale evolvendo le proprie competenze verso il digitale. Per arrivare ad essere leader nel mercato energetico digitale consumer, l’azienda ha dovuto acquisire competenze nuove, lontane dal suo contesto originale e vicine alla customer experience e ai giganti del digitale. Anche in questo caso, un’evoluzione del raggio d’azione e delle competenze ha richiesto una nuova organizzazione incentrata sulle persone e su una leadership diffusa; infatti per evolvere devi sperimentare e dare potere decisionale a chi si trova nei terreni inesplorati.

La parola di moda nel gergo “managerial-consulenziale” di questi primi tempi di crisi è resilienza, o nella sua versione maccheronica, resilience: la capacità di riprendere dopo una sollecitazione esterna l’aspetto originale. Non è così: le aziende che si ostineranno a restare come prima, moriranno. Le aziende che si sapranno evolvere sperimentando, ci assicureranno un futuro. L’evoluzione ha bisogno di quelle capacità (creatività, adattabilità, reattività) in cui le nostre imprese sono forti. Devono solo fare in modo di amplificarle durante questa crisi.

Bernardo Bertoldi (Docente di Family Business Strategy, Università di Torino – bernardo.bertoldi@unito.it)
Gianfranco Scalabrini (Docente di Energy Markets, LUISS Business School –  gscalabrini@luiss.it)