familyandtrends afferma spesso che Milton Friedman ha sempre ragione, lo afferma non solo per il fatto di essere un liberale estremista ma perché non risultano pecche nei ragionamenti logici del premio Nobel fondatore del monetarismo.

Nei giorni del COP28 e in un momento storico in cui tra tensioni geopolitiche, guerre, disastri climatici e biologici, suona stridente l’affermazione di Friedman del 1970: la responsabilità sociale dell’impresa è aumentare i propri profitti. In fondo dopo più di cinquanta anni può anche essere che il pensiero del professore di Chicago sia diventato vecchio. Approfondendo, però, sembra ci siano degli interessanti elementi di modernità.

Il primo: gli azionisti sono i primi responsabili del cambiamento che è richiesto al capitalismo. “L’amministratore delegato di un’impresa – afferma Friedman – per quanto potente è un dipendente dei proprietari dell’azienda. Egli ha una responsabilità verso i suoi datori di lavoro. Questa responsabilità è dirigere l’azienda secondo i loro desideri, che in genere sono di fare più profitti possibili conformandosi alle regole della convivenza sociale, siano esse esplicitate nelle leggi o nell’etica”.  Leggere solo il titolo dell’articolo, i.e. la responsabilità sociale dell’impresa è aumentare i profitti, porta fuori strada (e, puntualizziamo, la colpa non è dei titolisti dei quotidiani ma dei lettori che non approfondiscono). Friedman non dice “fate profitti e basta”, dice che la responsabilità nell’indicare la conduzione dell’impresa è degli azionisti. Il capitalismo familiare è la forma di capitalismo dove, volenti o nolenti, i proprietari sono identificabili (e, spesso, hanno il cognome nel marchio) e possono costituire esempi per tutti: è per questo che il capitalismo familiare è chiamato ad essere avanguardia nel ripensare le imprese come buone cittadine di questo pianeta e i suoi esponenti sono chiamati ad essere come ricorda Cristina Bombassei, imprenditrice e presidente di AIDAF, buoni (futuri) antenati.

Il secondo: l’Europa è (e speriamo i risultati di COP 24 lo confermino) all’avanguardia nel percorso sociale e politico che porta ad un nuovo modo di abitare il pianeta. Potrà aver fatto errori, ecceduto in rigidità, dirigismo e burocrazia (e.g. imponendo con quali tecnologie andare nel futuro), ma il Vecchio Continente è il più lungimirante nel decidere di fare qualcosa e farlo imponendo vincoli e scadenze. Se l’Europa è l’avanguardia del Pianeta, l’Italia è l’avanguardia dell’Europa. Siamo un paese trasformatore che sa quanto sia necessario rigenerare ciò che si usa. In ogni angolo del Paese abbiamo delle bellezze naturali ed artistiche che ci ricordano quanto sia importante proteggerle e valorizzarle. La nostra classe imprenditoriale ha fatto di un paese con meno dell’1% della popolazione, meno dello 0,2% del territorio e praticamente nessuna risorsa naturale il settimo paese più industrializzato al mondo senza per questo non mantenerlo come il più bello (uno dei più belli se non vogliamo esagerare con le lodi).

Quindi se l’Europa è l’avanguardia mondiale, se l’Italia è l’avanguardia dell’Europa e se le famiglie imprenditoriali sono l’avanguardia del capitalismo italiano, non si può che dedurne che ai nostri imprenditori tocca la responsabilità di essere all’avanguardia nel trovare i modi, i tempi, le idee e le tecnologie per fare sì che si riesca a ripensare un capitalismo all’altezza delle sfide del XXI secolo.

Non è tutto, il terzo elemento di modernità riguarda l’etica. Ripatendo dalla logica di Friedman, le imprese hanno la “responsabilità sociale di aumentare i loro profitti… conformandosi alle regole della convivenza sociale, siano esse esplicitate nelle leggi o nell’etica”. In fatto di etica è difficile che qualcuno non possa riconoscere a Papa Francesco un ruolo guida non solo per i credenti ma per tutti gli abitanti di questo Pianeta. La Sua Enciclica Laudate Deum è un chiaro richiamo etico al fare impresa: “La logica del massimo profitto al minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie, rende impossibile qualsiasi sincera preoccupazione per la casa comune e qualsiasi attenzione per la promozione degli scartati della società… Si incrementano idee sbagliate sulla cosiddetta “meritocrazia”, che è diventata un “meritato” potere umano a cui tutto deve essere sottoposto, un dominio di coloro che sono nati con migliori condizioni di sviluppo. Un conto è un sano approccio al valore dell’impegno, alla crescita delle proprie capacità e a un lodevole spirito di iniziativa, ma se non si cerca una reale uguaglianza di opportunità, la meritocrazia diventa facilmente un paravento che consolida ulteriormente i privilegi di pochi con maggior potere. In questa logica perversa, cosa importa loro dei danni alla casa comune, se si sentono sicuri sotto la presunta armatura delle risorse economiche che hanno ottenuto con le loro capacità e i loro sforzi?”

La logica di Friedman dice che ogni amministratore delegato del Pianeta ha il dovere di conformarsi nel massimizzare i profitti a questi dettami etici e siccome se non lo fa viola la responsabilità sociale dell’impresa ha, anche, il diritto di ricordare questo impegno etico ai suoi datori di lavoro, i.e. i proprietari.