Il 23 ottobre Xi Jinping è stato confermato per la terza volta segretario generale del partito comunista, presidente della commissione centrale dell’esercito e presidente della Cina: in sostanza capo del partito, dell’esercito e dello stato. Nel 2018 lo stesso Xi aveva abolito il termine che gli avrebbe imposto di lasciare la carica di presidente nel 2023. In sostanza ha senza limiti di tempo un potere grandissimo e nel ricevere il terzo mandato si è scelto come membri del comitato ristretto che governa la Cina uomini a lui fedeli da tempo.
In termini di passaggio generazionale il rischio è che la decisione di Xi sia positiva per lui nel breve termine mantenendolo al potere sino a quando ne avrà le forze per realizzare la sua visione di Cina e negativa per la Cina generando nel lungo termine instabilità e, potenzialmente, il collasso del sistema.
Per una volta, familyandtrends non si vuole occupare di capitalismo familiare ma di Cina. Cosa potrebbe fare Xi per assicurare sia stabilità che futuro al suo paese?
La prima soluzione la offre Erica Frantz, studiosa di regimi autoritari: fissare un termine rigido per la durata della carica come fa il Partito Rivoluzionario del Messico dove da quando questo partito è al potere il presidente resta in carica un solo mandato. La soluzione ha due potenziali difetti: creare molta discontinuità nella visione di lungo termine con un continuo “zigzagare” e non dare alcuna assicurazione di avere un successore all’altezza né di avere il tempo per prepararlo e testarlo. In alcuni casi, poi, è fortemente sconsigliabile perdere un leader per il solo motivo del tempo. Infine, come Xi stesso dimostra, la regola è facilmente rimuovibile. Naturalmente stiamo sempre parlando di Cina… non di imprese familiari…
Xi potrebbe prendere spunto dalla storia del suo paese: come analizzato da Yuhua Wang di Harvard gli imperatori cinesi che hanno designato un successore hanno incrementato del 64% la probabilità di non essere deposti, in modi più o meno cruenti. La probabilità di assicurare la continuità della propria dinastia aumenta del doppio se il successore è scelto nei primi cinque anni dall’entrata in carica. I cinque anni vanno considerati rispetto al fatto che un imperatore acquisiva il ruolo relativamente anziano e la vita media nel millennio e mezzo analizzato era più bassa, ma il messaggio resta valido: scegliere presto.
Naturalmente stiamo ancora parlando di Cina… non di imprese familiari.
Uno dei motivi per cui si tende a non designare un successore è perché si teme che questo non venga accettato dalle elite e dagli stakeholder del paese mettendo a rischio il potere di chi lo indica. È successo, ad esempio, a Robert Mugabe in Zimbabwe quando nel 2017 ha indicato come successore sua moglie. Il motivo principale, però, è il crown prince problem come definito da Gordon Tullok: il fatto che un successore indicato voglia far sloggiare il predecessore, anche in modo cruento, anticipando il proprio ingresso nel ruolo. Xi ha ben presente il problema perché Lin Biao, il primo successore indicato, cercò di far esplodere il treno di Mao, cosa che portò a indicare come successore l’innocuo e incompetente Hua Guofeng. Dopo Mao, Deng Xiaoping si è preso molta cura della successione, tanto da indicare il suo successore, Jiang Zemin, e dare un parere sul successore del suo successore, Hu Jintao. Quest’ultimo si confrontò con Jiang per scegliere Xi; cosa che non ha fatto Xi per la scelta del suo successore a giudicare dai modi drammatici e, soprattutto, drammatizzati con cui Hu ha lasciato la riunione plenaria questo ottobre.
Il crown prince problem ha portato nei secoli alle dinastie ereditarie familiari: un figlio tende ad aspettare rispetto a uccidere il proprio padre, o madre come evidenzia il caso del paziente Re Carlo. Questa soluzione assegna alle dinastie un’enorme responsabilità: pensando a Xi perché sua figlia dovrebbe essere migliore del miliardo di cinesi che potrebbe aspirare a guidare il paese? Prepararsi ad un compito di tale difficoltà e complessità richiede forza di volontà, spirito di sacrificio e competenza. Tutti elementi che, oggi sappiamo, non sono frutto della genetica ma dell’educazione. Ecco perché Xi ha la responsabilità di crescere ed educare il suo successore e tale educazione deve iniziare il prima possibile, con i figli si può iniziare sin dall’infanzia ed è più facile trasmettere alcune qualità. Xi potrebbe affidare allo stato cinese l’educazione di tutti i giovani adatti alla guida del paese e poi sceglierli man mano che crescono: questa soluzione è forse troppo radicale per l’estremo oriente, è qualcosa più da occidentali ed è stata proposta nella culla della cultura occidentale da Platone nella sua Repubblica.
Gli imperatori cinesi non dovevano confrontarsi con il potere religioso e godevano di minor controllo sui matrimoni, questo ha permesso loro di scegliere il più competente dei loro figli e non il primogenito; è possibile che in questo tratto ci sia il loro maggior successo nel scegliere il successore. In occidente il maggiorasco (la pratica di lasciare tutto al primo figlio maschio), aveva lo scopo di tener unita la terra, l’unica fonte di ricchezza, prestigio e collegamento con il monarca. Al figlio maggiore erano richieste poche competenze, con la terra poteva godere della decima e della ricchezza generata dai vassalli e dai mezzadri e poteva accedere ad un buon numero di uomini da togliere dal campo e offrire al re per le guerre di conquista di territori da dare a nuovi nobili. Un giovane per quanto inetto, che sapesse brandire anche formalmente una spada a capo della brigata della sua contea era quanto serviva. Certo i compiti di un imperatore cinese erano più complessi, come lo erano quelli dei re in occidente, caso in cui il maggiorasco ha mostrato i suoi limiti dandoci esempi di monarchi inetti o svogliati.
Le dinastie imperiali e il crown prince problem dovrebbero insegnare a Xi che la chiave è educare e preparare a fondo e iniziando presto il proprio successore e che, se proprio non vuole adottare il modello di Platone, i figli più competenti sono un’opzione. La conferma arriva dalle dinastie imperiali mongole-cinesi che adottavano o la successione orizzontale, cioè il più vecchio rappresentante della dinastia anche se non discendente diretto, o l’elezione di un nuovo leader scelto tra i membri del clan, il Gran Khan. Nella storia solo 1/3 dei successori mongoli era il figlio dell’imperatore ma la durata media delle dinastie mongole è stata di 10,8 anni, rispetto ai 17,8 delle dinastie Han.
Per continuare a dare consigli a Xi e non occuparci di aziende familiari, è bene ricordare che qualunque sia il metodo di successione scelto è fondamentale che sia chiaro e accettato da tutti. Questo è utile ad evitare faide secolari come quella generata dalla successione di Maometto, dove i sunniti pensavano di adottare la successione orizzontale, seguendo la “sunna” cioè la regola delle tribù e gli sciiti pensavano alla successione basata sul maggiorasco evoluto, infatti avevano scelto figlia di Maometto, Fatima.
Un ultimo rischio che corre la Cina è la morte o la improvvisa incapacità di guidare del suo leader. Xi ha 69 anni, 10 in meno di Biden quindi potrebbe non essere un suo problema. La differenza è che la governance in cui Biden comanda ha un meccanismo di successione di crisi chiaro e testato dalla deplorevole abitudine degli americani di uccidere i loro presidenti, da Lincoln a Kennedy. Più è concentrato il potere, più è forte la discontinuità in caso di morte e più robusto deve essere il meccanismo di successione di crisi.
Un successore indicato presto, i.e. 5/10 anni prima di lasciare il ruolo, educato da tempo e testato nelle competenze necessarie, accettato dagli stakeholder e dalle elite del paese, profondamente immerso nella cultura e nella tradizione ma capace e pronto ad evolvere lo status quo per adattarlo al mutato contesto esterno è la soluzione che Xi dovrebbe preparare.
Forse per lui è troppo tardi, ma non è per molti imprenditori che possono lavorare sul proprio passaggio generazione… ma oggi familyandtrends non si è occupato di loro e delle loro aziende familiari.