Nel 2019 veniva pubblicato Figli di Papà; il libro voleva spiegare alle generazioni successive a quella del fondatore come diventare imprenditori ed assumere la conduzione dell’azienda di famiglia.  Il filo conduttore del libro è l’idea che continuare un’azienda è imprenditoriale quasi quanto fondarla: si tratta, infatti, di rifondarla, di farla evolvere verso il futuro.

Quando l’abbiamo scritto (con Marco Ferrando) non potevamo pensare quanto bisogno di figli di papà ci sarebbe stato di lì a poco. Non è tanto la Pandemia, che come tutte le pesti ha solo accelerato fenomeni già in corso, ma la combinazione epocale di una enorme quantità di liquidità sintetica e di una crescente sacca di disoccupazione volontaria.

A questa combinazione, eccesso di liquidità sintetica e disoccupazione volontaria, esiste un’unica risposta. Questa non è la politica economica che crea ulteriore liquidità, sino all’inflazione come dimostra il piano Biden, e non è la politica del sussidio a chi non lavora, sino ad arrivare alla competizione tra salario e sussidio. La soluzione sono imprenditori che creano impresa dando sfogo alla finanza nell’economia reale e offrendo occupazione attraente. Altrimenti potremmo trovarci con una generazione di giovani che riceve sovvenzioni di vario genere e le investe nel Gamestop di turno dal sofà di casa.

La finanza, i mercati, le banche centrali non sono il male, come ha dimostrato la bontà degli interventi durante la pandemia: sono la medicina, leniscono il male ma non possono da soli rimettere in piedi il paziente. Di medicina ne abbiamo presa a sufficienza: gli investimenti finanziari nel mondo hanno superato i 500 trilioni di dollari a fronte di una produzione annua, i.e. PIL, di 85 trilioni: per ogni dollaro di produzione, quindi, ce ne sono 5,9 che devono essere investiti. Negli ultimi vent’anni gli unici impieghi possibili sono stati i mercati finanziari e la finanza sintetica: non siamo stati in grado di offrire loro sufficienti opportunità reali in cui investire.

Nel 2000 la ricchezza mondiale era 150 trilioni (4,3 volte il PIL), oggi è cresciuta del 333% a 500 trilioni (6 volte il PIL): circa 1/3 della crescita è data dai nuovi risparmi ma 2/3 sono stati generati dall’aumento del valore degli asset finanziari, aumento guidato dai tassi bassi imposti dalle banche centrali. Il 40% dell’aumento, 133 punti percentuali, è avvenuta nei due ultimi anni, quelli della pandemia. Questo dimostra che i governi e i banchieri centrali hanno fatto tutto ciò che potevano e, forse, di più.

L’aumento del valore degli asset finanziari, tra cui ci sono le azioni, avrà quindi permesso alle imprese di raccogliere più capitale a buon prezzo: non è così! In questo secolo l’aggregato delle imprese quotate ha restituito più capitale di quanto ne abbia raccolto, per lo più attraverso il riacquisto di azioni proprie. Un’impresa che acquista azioni proprie (al netto di considerazioni sul trade off fiscale tra dividendi e riacquisto), dichiara di non riuscire ad immaginare migliore opportunità di investimento che non quella di “comprare sé stessa”. È un’impresa che ha perso la sua forza imprenditoriale: la forza di perseguire opportunità al di là delle risorse che si possiedono.  

I tassi bassi non hanno fatto che accelerare questo fenomeno incentivando la rimodulazione della struttura del capitale, i.e. sostituire costoso capitale di rischio con debito a buon mercato: in questo secolo per ogni dollaro investito ne sono stati creati 2 di debito, il secondo dollaro è stato utilizzato per comprare azioni proprie.

In fondo viviamo in un’epoca di enorme trasformazione digitale e abbiamo grandi benefici dalla tecnologia, siamo il secolo di internet. Questo maremoto di liquidità avrà permesso investimenti in ciò che permette tutto questo, e.g. infrastrutture reali e digitali, innovazione, ricerca, immobilizzazioni materiali ed immateriali? Di nuovo: no! Dei 500 trilioni di ricchezza circa 1/5 è investita in investimenti produttivi, il 72% in real estate e l’8% in magazzino. Nonostante 350 trilioni di maggior ricchezza da investire meno di 1/5 è diretta in investimenti che creano innovazione.

È urgente prendere atto che senza imprenditori la liquidità immessa nel mercato e la ricchezza creata avranno una dimensione sintetica, non entreranno nell’economia reale, non daranno vita a nessuna transizione e non genereranno lavoro. Ad ogni crisi del ciclo economico avremo ricchezza sempre più sintetica e concentrata che crescerà per l’immissione di nuova liquidità e un mercato del lavoro che sempre più lentamente tornerà ai livelli pre-crisi. Si continueranno ad accrescere gli squilibri finanziarie e le diseguaglianze reali.

Il lavoro se non è attratto nel sistema produttivo dagli imprenditori, rischia una diversa e peggiore forma di sintetizzazione: la liquidità nelle mani dei governi diventerà sussidio. Ci si può anche astenere da un giudizio etico sul sussidio in sé, ma non ci si può astenere dalla logica: “se paghi la gente quando non lavora e la tassi quando lavora – diceva Friedman – non essere sorpreso se produci disoccupazione”. Gli imprenditori, siano essi di prima, di seconda o di ennesima generazione, sono quell’agente economico che mettendo insieme capitale e lavoro crea aziende produttrici di ricchezza e di innovazione. Mai come in questo momento storico abbiamo eccesso di capitale e di lavoro e una incredibile penuria di imprenditori. Abbiamo un disperato bisogno di figli di papà.