In Italia ci capita di essere affetti da un particolare provincialismo: siamo così smaniosi nel voler applicare le mode degli altri paesi che ogni tanto riusciamo a reimportare ciò che noi stessi abbiamo inventato, esportato e insegnato. Esempi: le banche, il cinema e gli acceleratori di start up (oggi si chiamano così, sono i nostri distretti industriali nella loro infanzia). Ci critichiamo l’ombelico, mentre il mondo ci guarda con ammirazione, solo non capisce perché abbiamo sempre la testa bassa.

La scorsa settimana The Economist, sobrio, ultraliberale e noto per il suo sottile piacere a fustigare l’Italia, ha scritto nei leaders un elogio alle imprese familiari: «Ci sono importanti lezioni da imparare dalla sorprendente forza delle imprese familiari». Certo non manca una stoccata a Luxottica, ma nella sostanza viene riconosciuto che il capitalismo familiare, su cui si basa il nostro sistema industriale, ha parecchio da insegnare a un mondo «finanziarizzato». Il fatto che le grandi economie emergenti, Cina, Asia, Sud America, siano permeate dello stesso tipo di capitalismo ne ha aiutato il prepotente ritorno nelle discussioni. Forse in quei paesi c’è meno interesse per il proprio ombelico. In Italia il 60% delle imprese quotate e il 50% di quelle con più di 50 milioni di fatturato sono possedute da famiglie imprenditoriali; questo è il nostro capitalismo.