Gli ultimi familyandtrends hanno discusso di come questo sia il secolo delle imprese familiari e di come la grande finanza internazionale abbia fatto passi da gigante nel copiare alcune qualità del buon azionista familiare. Molti dei commenti ricevuti si concentrano sulla lentezza con cui le aziende familiari si adattano in un ambiente competitivo che invece richiede di questi tempi più velocità.
John Davis, il padre fondatore degli studi sul capitalismo familiare, usa dire: “le imprese familiari sono più lente ma migliori” e Alfredo De Massis, uno dei migliori accademici italiani, ha spiegato questa lentezza come innovazione nella tradizione dimostrando che le imprese familiari evolvono l’esistente più che innovare in modo radicale. Quindi si può confermare che la velocità non sia un punto di forza ed è un fatto che il mondo in questo secolo sia meno stabile di quanto lo sia stato negli ultimi decenni del secolo scorso, e gli ultimi tragici fatti in Ucraina sono un terribile monito anche per il futuro.
A questa sfida dovranno rispondere i proprietari: la distruzione creatrice e le regole del capitalismo liberale continueranno a funzionare e semplicemente se le famiglie imprenditoriali non saranno dei buoni azionisti perderanno il diritto di possedere le loro aziende.
Le famiglie imprenditoriali dovranno, quindi, essere buoni azionisti e buoni imprenditori. Vediamo come.
Essere un buon azionista significa portare capitali, conoscenza e rigore.
Capitali è intuitivo ma non scontato; intuitivo perché senza aver investito nelle aziende non si può essere proprietari, non così scontato perché per i grandi investitori spesso un’azienda rappresenta uno delle migliaia di investimenti fatti; mentre per le famiglie imprenditoriali l’azienda/e che possiedono rappresenta/no una parte rilevante del loro patrimonio, non solo affettivo, e se ne prendono quindi cura in modo più attento non pensando che la diversificazione del rischio sia la soluzione.
Conoscenza significa conoscere il settore e l’azienda così bene da essere in grado di anticipare le dinamiche di sviluppo e prepararsi ad adattarsi per tempo. Anche in questo caso avere gran parte del proprio patrimonio investito in una o poche aziende è garanzia dell’impegno nell’essere un azionista attivo e utile per l’impresa. Questo approccio permette, soprattutto in presenza di management esterno e professionale, un dialogo virtuoso che aiuta a guidare l’azienda con due punti di vista diversi per livello di operatività e per orizzonte di interesse (medio per il management e lungo per il proprietario).
Rigore significa assicurarsi nella propria qualità di azionisti che tutti in azienda siano pronti a rinunciare ai ritorni del breve e alle comodità della comfort zone per affrontare i sacrifici e gli investimenti che adattarsi al cambiamento richiede. Solo in questo modo le imprese possono evolvere avendo successo nel mutato (e mutevole) contesto competitivo.
Le famiglie azioniste, inoltre, devono essere capaci di dare alle imprese che possiedono la forza imprenditoriale. Essere imprenditori, come ha insegnato Howard Stevenson ad Harvard, significa perseguire opportunità al di là delle risorse che si possiedono. In un contesto in rapido cambiamento saper scorgere le opportunità e avere il coraggio di perseguirle anche senza avere a disposizione subito tutte le risorse necessarie è ciò che serve per evolvere. Questo tratto è ciò che fa delle famiglie imprenditoriali un proprietario prezioso e diverso da tutti gli altri. I grandi investitori internazionali possono offrire grandi quantità di capitali e aderenza alle regole di mercato e di corporate governance, i manager professionali possono offrire competenze tecniche e commitment personale ma l’imprenditore può, e deve, avere ed infondere il coraggio di agire, di rischiare, di evolvere.
Il coraggio è la misura della cifra imprenditoriale, come ha dichiarato nella prefazione di Manager di Famiglia, Gianmaria Grospietro: “Per andare al nocciolo, ciò che non può mancare al manager è la professionalità, ciò che non può mancare all’imprenditore è il coraggio. La famiglia imprenditoriale può trovare sul mercato tutti i tipi di professionalità, ma non può trovarvi il coraggio, se le manca”.
Questo coraggio può essere la chiave per dare velocità di esecuzione e chiarezza di visione, questo coraggio è il compito dell’azionista famiglia imprenditoriale, questo coraggio è il principale contributo che il capitalismo familiare può dare ad un secolo che sarà caratterizzato dal cambiamento costante, rapido e dirompente.