familyandtrends ha recentemente sostenuto che sia un dovere per i membri di una famiglia imprenditoriale accettare la propria ereditàe usare il privilegio che questa comporta per il bene dell’impresa ereditata. Ha sostenuto, inoltre, che non si risolverà il problema della voglia dei figli di entrare in azienda rendendo la cosa più semplice. familyandtrends concludeva affermando che è dovere di ogni famiglia imprenditoriale assicurare almeno un imprenditore in ogni generazione che possa evolvere ed adattare l’azienda al mutato contesto competitivo, rifondandola o “ricomprandosela”.

“Con la stoffa dell’imprenditore si nasce; come si fa ad assicurare imprenditori in ogni generazione?” è stato il commento più gettonato e merita certamente un approfondimento.

Una prima considerazione la offre Nelson Goodman, filosofo di Harvard: “il fatto che sia difficile capire come si impari una certa cosa non è un motivo sufficiente per concludere che quella cosa debba essere innata”. Non esistono, quindi, due tipi di neonati: quelli normali portati dalla cicogna e quelli “con la stoffa” portati da una Tesla: anche riguardo all’attributo imprenditorialità nasciamo tutti uguali. Come per tutti i talenti, poi, non cresciamo tutti uguali.

Molti imprenditori, uomini pratici, a questo punto penseranno: il solito professore che cita altri professori (pure filosofi!) che parlano di teorie: non capiscono che il mondo reale è diverso. Per invogliare anche questi lettori a spendere ancora qualche minuto nella lettura partiremo da un esempio pratico e molto autorevole: Maurizio Sella, commentando lo scorso familyandtrends, ha scritto: “avevo calcolato che in 400 anni di storia il 9% dei nati Sella ha fatto l’imprenditore”.

Solo di recente, l’Accademia ha cominciato a convergere sul concetto di Imprenditorialità Transgenerazionale, cioè sull’idea che si può trasmettere tra generazioni la capacità imprenditoriale attraverso un’educazione che va oltre le capacità e le competenze che si imparano nei tradizionali percorsi di studio. Si tratta di un’educazione focalizzata sul riconoscimento di opportunità e su un comportamento proattivo.

Crant nel 1996, studiando un gruppo di studenti, ha scoperto che una personalità proattiva è il primo indicatore del diventare imprenditore. Il concetto di proattività aiuta a specificare come costruire un’educazione imprenditoriale: agire sulle opportunità che si intravedono può voler dire non perdere l’occasione di visitare un luogo interessante quando vi si passa vicino o non perdere l’occasione di parlare con un esperto di qualcosa quando lo si incontra una sera a casa di amici. Prendere l’iniziativa può voler dire organizzare feste per raccogliere fondi per un progetto benefico, mettere insieme un gruppo musicale, fare l’influencer diffondendo video su un argomento che appassiona. L’educazione imprenditoriale non prevede che da adolescenti si fondi una start up o si venda le foto dei propri compagni ai loro genitori (cose comunque fatte da imprenditori di successo). È la proattività e non il “fare soldi” o “fare impresa” che conta.

È da notare che nella lista di Crant il secondo rilevatore che fa prevedere un futuro da imprenditore è l’essere nato in una famiglia imprenditoriale. Quindi, stando alle migliori ricerche attuali, se si respira l’aria della famiglia imprenditoriale e si viene educati alla proattività, la probabilità di sfuggire ad un destino di imprenditore è bassa.

Non sono le cose che vengono dette agli adolescenti che formano l’idea di cosa si vuol fare da grande, ma le cose che si sono viste e l’ambiente in cui si è vissuto: e da questo nessuna famiglia imprenditoriale può “proteggere” i suoi componenti più giovani, si tratta dell’aria che si è respirato da quando si è nati, magari da un sabato passato in azienda ascoltando un fondatore parlare ai propri collaboratori.

Howard Gardner, grande studioso dell’apprendimento, afferma che questo “respirare imprenditorialità” inizia da prima che ce lo si ricordi: “Negli anni che succedono all’infanzia, il bambino acquisirà molte forme nuove di conoscenza, maturandole a volte in virtù delle quotidiane interazioni che avvengono nella cultura e a volte in virtù dell’esplicito programma perseguito dalle istituzioni educative … Tuttavia chi, partendo dalla nostra impossibilità di ricordare esperienze infantili, assumesse che non sono importanti, incorrerebbe in un errore gravissimo. Con ogni probabilità queste esperienze e queste intuizioni primordiali sono quelle che rendono possibile ogni apprendimento successivo. … esse continuano a costituire il retroterra della nostra visione del mondo; spesso, anzi, restano più profondamente radicate delle nozioni “revisionistiche” che gli educatori cercano di impartirci durante gli anni di scuola“. Creare imprenditori può non essere facile ma non è impossibile e, soprattutto, non è frutto del fato e della stoffa: è un fatto di educazione; educazione che parte nell’infanzia e che continua anche quando si è arrivati in azienda (argomento che affronteremo in seguito). Questa educazione è il dovere che ogni famiglia imprenditoriale ha verso le future generazioni, verso l’azienda e verso tutti coloro che da quell’azienda traggono vantaggi: i clienti, i dipendenti, i fornitori, lo stato, la società.