“Siamo 50 e 50 e questo rischia di ingessare le nostre decisioni e l’azienda”: familyandtrends può testimoniare che così iniziano spesso, e non solo in Italia, alcune discussioni sul capitalismo familiare. La cosa peggiore è che spesso si passa a “l’azienda è ingessata” per finire allo scontro aperto e sordo della ragione dell’altro ramo familiare. La cosa vale per il “50 e 50” ma non è molto diverso quando si è in tre, salvo che si possono in una prima fase creare alleanze tra due rami.

Il più corto caso di Harvard parla della nascita di Apple e recita: “Steve and Steve want to found a company, how they split the pie?”. Noam Wasserman ha svolto interessanti ricerche sul punto e ha dimostrato come sia naturale che le imprese nascano in modo “paritario” con torte divise in due o in tre. È, altresì, naturale in una generazione successiva che un fondatore lasci quote uguali a due suoi figli. Essere “50 e 50” quindi è un fatto naturale nella vita dell’impresa che con il passare delle generazioni va gestito.

I fondatori racchiudono in un’unica persona l’azionista, l’imprenditore e il manager. Il segreto della lunga durata nel capitalismo familiare sta nel fare tre cose. La prima, crescere almeno un imprenditore in ogni generazione che possa adattare l’impresa all’evoluzione competitiva e rinnovarla quanto serve sino a rifondarla se necessario. La seconda, attrarre-crescere-mantenere manager bravi che collaborino con l’imprenditore e permettano all’impresa di crescere. Terzo, e qui si viene a parlare di “50 e 50”, assicurare all’impresa azionisti responsabili e una compagine unita nei valori, chiara nei diritti e doveri di ognuno e con una coscienza da azionista di lungo termine.

È innegabile che con il passare delle generazioni la proprietà si frammenti e gli azionisti diventino molti; in questa fase essere “50 e 50” può diventare problematico: si tratta di fare uno sforzo continuo, che può diventare insostenibile, per mettere l’accordo tra le due parti della torta e tutte le fette che le compongono. È anche innegabile che nel mondo ci siano alcuni esempi virtuosi di imprese familiari di successo che nelle generazioni hanno mantenuto la suddivisione in parti uguali decretata al momento della nascita. In Italia ne abbiamo uno degli esempi più belli ed interessanti: il controllo di Sol Group fa riferimento alle due famiglie imprenditoriali Annoni e Fumagalli; il caso è ancora più interessante se si pensa che l’azienda essendo quotata ha molti altri azionisti di minoranza e le due parti della torta sono suddivise tra le due famiglie dei fondatori e non tra due rami consanguinei di una stessa famiglia.

Nelle governance “50 e 50” è ancor più importante di quanto lo sia negli altri casi l’equilibrio tra merito e rappresentanza: ogni ramo ha il dovere di indicare all’apice della governance il suo membro (o i suoi membri) più meritevole perché possa contribuire alle decisioni; allo stesso tempo ogni ramo ha il diritto di essere rappresentato. È appena il caso di ricordare che essere il rappresentante del proprio ramo non significa essere imprenditori; gli imprenditori in ogni generazione vengono definiti dall’insieme dell’azionariato e si tratta, spesso, di avere l’umiltà e l’intelligenza di riconoscere la capacità imprenditoriale in un altro familiare.

Equilibrio tra merito e rappresentanza è un elemento necessario ma non sufficiente. Anche con i migliori programmi per azionisti responsabili e con la miglior educazione imprenditoriale è naturale che qualche familiare non abbia interesse a far parte della famiglia imprenditoriale. Tecnicamente si definisce pruning (potatura) la dinamica con la quale nel tempo alcuni familiari divengono rami tagliati dall’albero della famiglia.

In questo caso è ingiusto, ma soprattutto controproducente, imprigionare il familiare perché non lo si può liquidare e tanto meno si vuole un aiuto dall’altro ramo: così si romperebbe il monolite del “50 e 50”. E nessuno è disposto a farlo: per mantenere questo monolite, infatti, nel tempo si sono fatti enormi sacrifici e compromessi, si sono costruite governance barocche fatte di decisori terzi con poteri sproporzionati e magari con 1 singola azione dal valore “dirimente” o di “patti del cow boy” in cui compra o vende chi è più avventato a sparare cifre insostenibili. La soluzione al pruning non è l’arrocco sul monolite bensì togliergli ogni importanza. Supponiamo che la parità si rompa e si diventi “56 e 44”, cosa è cambiato nei fatti? L’impegno finanziario e la volontà di contribuire dei due rami è cambiata ma di poco, si può stabilire che sino a che un ramo detiene il 40% o il 35% ha lo stesso peso del ramo divenuto di maggioranza, si continuano a prendere le decisioni insieme anche se un ramo ha avuto qualche familiare venditore per effetto del pruning. Questo, di solito, toglie la tensione che si crea all’interno dei rami per stare tutti uniti e riporta una sana discussione della famiglia intera volta al bene dell’azienda. L’obiezione ricorrente è: “56 e 44” o “65 e 35” è ben diverso da “50 e 50”; innegabile, ma se si potesse chiedere ai fondatori: se invece di fare 50 e 50 fosse stato necessario che all’atto della fondazione foste “65 e 35” sarebbe cambiato il rapporto tra di voi? Sarebbe cambiato l’apporto che avreste dato all’impresa? Avreste misurato con il bilancino cosa portava uno o l’altro alla crescita dell’impresa? Sino a che si è azionisti responsabili e rilevanti, si può, anzi è bene che si abbia, un peso pari ad altri azionisti “più di maggioranza”. Il non dover guardare al proprio ramo con ansia, riporta l’attenzione degli azionisti a quello per cui vale la pena davvero di passare una vita a discutere: quale sia il bene dell’impresa, come farla crescere e come trasmetterla alle generazioni successive. Non da molto tempo, un azionista diventato azionista di maggioranza dell’azienda di famiglia ha deciso di sterilizzare parte dei suoi diritti per non poter decidere da solo spiegando: “voglio troppo bene all’azienda per pensare che mai uno di noi da solo possa deciderne il destino”. La lungimiranza della scelta è ancora più evidente in un momento storico e politico in cui abbiamo (di nuovo) visto quanto male può fare il delirio di un uomo solo al comando…