familyandtrends sostiene l’importanza dell’utilizzo delle teorie nel management anche se da quando nel 1954 Peter Drucker pubblicò the Practice of Management l’accademia non ne ha definite molte. Clayton Christensen ad Harvard ha sempre insistito sull’importanza di creare teorie, l’applicazione per analogia, diceva, ha portato gli uomini a cercare di volare dotandosi di ali e penne senza molto successo: senza la teoria della fluidodinamica di Bernoulli, l’umanità non sarebbe andata molto oltre Icaro.

Clayton, oltre ad aver definito la teoria della disruptive innovation che è diventata buzzword del gergo manageriale tanto da costringerlo a denunciare l’uso improprio, ha anche scoperto la legge della conservazione di profitti, meno conosciuto ma interessante. La teoria dice che in un sistema che ottimizza la performance di ciò che non è “abbastanza buono” per il consumatore i profitti restano attraenti e che il processo di ottimizzazione oscilla tra la commoditizzazione e la de-commoditizzazione.

La teoria si può spiegare con il caffè, i popcorn e la pizza.

Iniziamo dal caffè. Quando al consumatore è stata offerta la possibilità di “avere a casa l’espresso come al bar”, il settore del caffè è cambiato. Chi nel settore è riuscito a fare qualcosa che il consumatore con la sua caffettiera non riusciva a fare, a migliorare qualcosa che non era “good enough” ha avuto profitti attraenti. I profitti sono diretta conseguenza della disponibilità a pagare del consumatore, quando un’impresa o un sistema di imprese gli offre qualcosa che ha valore, che risolve qualcosa che allo stato attuale non è “abbastanza buono” la disponibilità a pagare aumenta (e con essa il valore generato, ma questa è un’altra teoria: sarà per la prossima volta). La disponibilità a pagare per il caffè con la moka era intorno agli 8/10 centesimi, per l’espresso a casa come al bar il prezzo è diventato 1 euro. Lo stesso vale per altri settori, i consumatori continuano ad avere una disponibilità a pagare per fare foto, informarsi, guadare film, le catene del valore che portano queste soluzioni sono cambiate ma i profitti attraenti sono rimasti.

La teoria della strategia aziendale, dai tempi di Porter, risponde a due domande: come si crea valore e come lo si cattura. Il caffè illustra bene come lo si crea, le capsule hanno aumentato il prezzo del prodotto di 10 volte, pizza e popcorn ci spiegheranno come lo si cattura.

Un momento dell’intervento a BEYOND – Iveco Group Days

Mentre i profitti attraenti si conservano, i modi con cui si creano cambiano. All’inizio si ha integrazione di più attività aziendali perché funzionalità ed affidabilità di un sistema nuovo richiedono che una singola impresa faccia tutto e impari come far lavorare insieme i moduli del sistema. All’inizio, il sistema delle capsule era integrato: caffè, capsula, macchina, distribuzione, negozi, comunicazione: basti pensare a Nestlè in Europa e Keurig-GreenMountain in USA. Quando il lavoro per il consumatore è diventato “abbastanza buono” il sistema si è modularizzato e diversi attori sono entrati in un solo anello della catena. Il consumatore è un inesauribile miniera di bisogno non “abbastanza soddisfatti” e, in questa seconda fase, ampiezza della scelta, i.e. Nestlè, e prezzo, i.e. Borbone, sono stati i due ambiti dove si è dovuto trovare performance per soddisfare il consumatore.

Si potrebbe obiettare che caffè, pizza e popcorn sono casi semplici e del passato. Il futuro del trasporto e della mobilità è un ambito sufficientemente complesso in cui la teoria potrà essere testata. Recentemente Iveco ha organizzato una serie di incontri per discutere come sarà questo futuro discutendo di tecnologia, digitalizzazione, servitization e pay per use. La nuova offerta avrà successo se aumenterà di dieci volte la disponibilità a pagare del cliente, come per il caffè, e integrerà un insieme di servizi che il consumatore fa fatica ad aggregare da solo, come i popcorn al cinema. Iveco ce la farà se il suo management team preferirà approfondire la teoria della fluidodinamica rispetto a incollarsi delle penne sulle braccia e saltare da un promontorio…

Al cinema i popcorn sono una buona integrazione, la pizza no. I popcorn hanno, al cinema, un premium price, circa il doppio, perché fanno per il consumatore un lavoro difficile, i.e. “non good enough”. È, infatti, complicato uscire dal cinema, trovare un negozio che fa popcorn, comprarli e tornare al cinema senza che si siano raffreddati. Per il “bundled” popcorn+cinema, il consumatore è disposto a pagare di più della somma dei due prezzi perché chi li mette insieme fa per lui un “lavoro” che da solo non saprebbe fare “abbastanza bene” (i.e. crea più valore). Pizza+cinema è un “bundled” offerto a sconto infatti non aumenta la disponibilità a pagare, fa qualcosa che il consumatore può fare anche da solo: quando esce dal cinema può scegliere tra tante pizzerie nei dintorni o meno e non ha bisogno di un sistema che gli metta insieme le due cose. Il consumatore è disposto a comprare insieme pizza+cinema solo se ottiene uno sconto, i.e. solo se può tenersi una parte maggiore del valore creato.