Per uno studioso di imprenditorialità e capitalismo familiare un libro sul sig. Michele Ferrero è irresistibile quasi quanto un suo Rocher. familyandtrends ha affermato: “un imprenditore noto per la sua riservatezza ha rilasciato due sole interviste e ha spiegato molto più di altri che parlano tutti i giorni. Con queste due interviste si ha materiale per un intero corso universitario.”, figurarsi ora con un libro intero! Cerchiamo di spiegare il perché.

Il sig. Michele è stato il miglior imprenditore del ventesimo secolo, un secolo che ne ha visti di bravi, ad esempio: Agnelli, Benz, Bosch, Carniege, Dassler, Disney, Edison, Ferrari, Ford, Gualino, Jobs, Olivetti, Rockfeller, Spagnoli, Aldi, Mulliez.

È stato il più bravo ad anticipare i fenomeni sociali e a scoprire i bisogni latenti dei consumatori (prima che si pensasse di doversene occupare). Nelle sue parole quando spiega l’ovetto Kinder: “Pensai alla Valeria mamma, che così poteva premiare il suo bambino perché aveva preso un bel voto a scuola, alla Valeria nonna che lo regalava per sentirsi dire: “Sei la più bella nonna del mondo” o alla Valeria zia che riusciva così a strappare al nipotino quel bacio e quell’abbraccio che faticavano sempre a conquistare… ma così tanto cioccolato poteva preoccupare le mamme, allora pensai di rovesciare l’assunto tradizionale pubblicizzando che c’era “più latte e meno cacao”, quale miglior sensazione per una mamma di dare più latte al suo bambino?”. È stato il più convinto nell’applicare la sperimentazione e l’innovazione continua, “a volte si andava avanti anni a fare i test”, il risultato è che un prodotto del sig. Michele ha una vita media superiore a molte corporation multinazionali. È stato il primo a ragionare in termini europei: andò in Germania che i tedeschi neanche ci volevano nei loro ristoranti. Ha prima di tutti fortemente voluto e lavorato perché la sua impresa fosse buona cittadina del mondo: la fondazione Ferrero nata per “permettere ai dipendenti anziani di continuare a sviluppare la loro creatività e avere la possibilità di restituire agli altri il frutto della loro inventiva” è qualcosa di talmente d’avanguardia che i grandi esperti di ESG ancora oggi non sono arrivati a pensare agli ex dipendenti come stakeholders e la Fondazione lo fa da quarant’anni.

La cosa interessante è che il più grande imprenditore del secolo scorso era un figlio di papà, nelle sue parole: “Il merito è tutto di mio padre partito da zero per lasciare un’impronta nella storia dell’industria italiana, e di mio zio. Hanno lavorato sodo… sono stati dei precursori. In ogni caso l’uno e l’altro mi hanno lasciato un’eredità tecnica cospicua, un patrimonio di idee e conoscenze che io ho difeso e allargato. Non ho altri meriti che questi”. Certamente nato tra le mura di una pasticceria, tra profumi e ricette, sin da bambino il Sig. Michele avrà avuto un’innata e inarrestabile passione per l’impresa? No: “Sa una cosa? Dapprincipio l’idea di affiancarmi a papà Pietro per far cioccolato non mi entusiasmava per niente. Neanche di venderlo mi andava gran che. Mi sarebbe piaciuto invece fare il progettista. Avevo una vera passione per le macchine, come mio padre del resto”.

Michele Ferrero davanti al centro direzionale di Pino Torinese, 1965, foto Mosio

L’esempio del sig. Michele può insegnare a molti giovani successori che non è la passione che fa fare le cose bene, bensì fare le cose bene fa venire la passione. Inoltre, basta leggere la prima esperienza del Sig. Michele mandato a vendere ad Asti per capire che prima di fare bene le cose devi faticare: “Quando sono arrivato in città, vado subito alla prima panetteria che trovo, c’erano tre gradini da salire e io sono inciampato. Quando sono arrivato ho visto un signore con la barba incolta e gli occhietti terribili che mi scrutavano. ‘Che cosa vuoi, bel fanciot?’ Io non ero capace di mettere in ordine le mie parole, inciampavo sempre, e lui mi spronava: ‘Mi dica, ragazzo, mi dica…’ Io ho balbettato: ‘Due biove, due panini, per favore’. E andai via. Ma non devo arrendermi, mi dissi, nonostante la mia timidezza infinita. Ho trovato un altro panettiere, sono entrato nel negozio e, oh Madonna, era di nuovo un uomo! Con due dita di barba, occhi spalancati…‘Ma che cosa vuole?’ Ho balbettato di nuovo: ‘Mi dia due biove, per favore’. Poi, finalmente sono andato da una signora che sicuramente era una mamma, e vedere questo povero figlioletto che veniva avanti… Io le ho detto: ‘Grazie, signora, sono qui’ e le ho fatto vedere il mio biglietto da visita”. A leggere ora questo inizio balbettante del più grande imprenditore del XX secolo non si può non immaginare che quella signora sia stata la prima signora Valeria.

Il Sig. Michele quel giorno ad Asti non si arrese e non usò la sua “timidezza infinita” come scusa; alla fine prese l’ordine dalla prima signora Valeria della storia: “Sono tornato a casa con questo ordine e ho detto: ‘Abbiamo vinto, papà!’ E di lì poi è partita la storia della Ferrero”. È così che si diventa i migliori imprenditori di un secolo, faticando a fare le cose bene e poi appassionandosi. Certo in quella passione il sig. Michele ci ha messo molto anche della sua “vera passione per le macchine”, infatti per fare prodotti unici ha sfruttato la sua capacità di fare macchinari unici (come fanno gli imprenditori italiani).

Il segreto del successo per di chi deve succedere a dei titani, come erano il padre Pietro e lo zio Giovanni, lo svela il sig. Michele stesso: “Quando andate a cercare i funghi vedrete che dopo una certa salita le gambe vi pesano, avrete cercato una panchina per sedervi. Molti, dopo la pausa, lasciano la panchina e tornano indietro. Quello invece è il momento per ripartire verso l’alto perché si troveranno buoni funghi con minor numero di cercatori e voi sarete favoriti”.

A tutti i successori non resta che alzarsi da quella panchina con le gambe che pesano e ripartire: sarebbe davvero un peccato che avendo un tale esempio da cui imparare il nostro Paese non esprimesse il miglior imprenditore anche del XXI secolo.