L’ultimo familyandtrends esortando chi vuole avere successo a non crescere i propri successori voleva evidenziare che nelle aziende familiari chi ha un ruolo guida, di solito, ha voglia ed interesse ad insegnare e far crescere chi potrà sostituirlo mentre ai futuri manager che vengono formati a Standford viene insegnato esattamente il contrario. Secondo il The Economist, infatti, “Path to Power” è il primo corso dell’MBA di Standford per preferenze e ha l’obiettivo dichiarato di “non farti mai lasciare una posizione aziendale senza che tu lo voglia”. In questo corso si insegna che il principale modo per mantenere il potere è evitare di crescere e coltivare dei successori e il miglior modo per non avere rivali è avere più ruoli che si intersecano facendo “un po’ tutto”.

La prima obiezione ricevuta è stata l’aver completamente dimenticato la dimensione geografico culturale. È davvero possibile confrontare il comportamento manageriale anglosassone con quello imprenditoriale italiano? familyandtrends ritiene di sì, la tecnica manageriale di stampo statunitense permea le imprese di tutto il mondo e, oggi, chi guida imprese italiane, familiari e non, che si sia formato in Italia o all’estero ha imparato, più o meno bene, le stesse cose. Certo le nostre imprese e chi le guida hanno delle peculiarità date dal fatto di essere in Italia, in un intervento del 2021 familyandtrends ne identificava tre: eleganza, creatività, simpatia.

Il ragionamento ha portato ad una domanda più sofisticata: come è possibile che i manager professionisti delle corporation crescano i loro successori mentre non lo vogliono e gli imprenditori italiani, che sinceramente lo vogliono, non riescono a crescere i loro successori? La domanda è risuonata anche in un recente dibattito tra Francesco Casoli, presidente Elica e di Aidaf, Irene Rizzoli, ad di Delicius e Stefania Brancaccio, vice presidente di Coelmo quando ci si è chiesti: imprenditori si nasce o si diventa?

Forse gli imprenditori che vogliono crescere i loro successori dovrebbero imparare dai grandi manager delle multinazionali: dovrebbero comportarsi come se non volessero farli crescere. Sembra contro intuitivo ma è possibile cha anni di dibattito (il più delle volte sterile se non dannoso) sul passaggio generazionale possano risolversi così: non crescete i vostri successori!

La prima. Imprenditori non si nasce, si diventa attraverso tre fasi. La prima è quella del fascino quando tra i 5/8 e i 18/25 anni si viene attratti dall’attività della propria famiglia e si desidera essere coinvolti in modo divertente e esperienziale. In questa fase si acquisisce l’educazione ai tratti caratteriali dell’imprenditore e il contatto con i familiari imprenditori è necessario e spesso divertente, al netto delle complessità caratteriali dell’adolescenza e della normale possibile conflittualità tra padri/madri e figli/e.

La seconda fase inizia tra i 18 e i 30 anni ed è quella della disciplina, quando si imparano il rigore, la disciplina, le abilità, la precisione, la resistenza alla fatica ed alla tensione, in questo caso la gratificazione è fatta da capacità di eccellere in attività complesse che richiedono competenze e carattere e questa gratificazione arriva da capi esperti, maestri che insegnano cose difficili che richiedono esercizio, pratica, errori, delusioni.

Secondo le buone pratiche una parte di questa seconda fase avviene fuori dall’azienda di famiglia ma una parte avviene, poi, all’interno. Qui si crea la vera rottura tra generazioni: la generazione attuale si aspetta che il successore, dopo scuole di livello ed esperienze qualificanti, guardi e velocemente impari come si fanno le cose. Il successore, anche quando è d’accordo sul come fare le cose, non riesce a ripeterle come vengono fatte dall’attuale imprenditore. Nel caso poi in cui questo sia anche un fondatore è semplicemente impossibile ripeterle. Ed ecco il momento di frustrazione di entrambe le generazioni: l’attuale vorrebbe vedere la prossima correre come la “stoffa dell’imprenditore” richiede, la successiva neanche ha ancora imparato a camminare. Per farlo ci vuole tempo e la generazione attuale, soprattutto se non è partita per tempo, non ne ha; ci vuole pazienza per gli errori e la generazione attuale non si capacità di come il sangue del suo sangue non sappia correre e debba cadere appena cerca di mettersi a camminare.

Forse, se in questa fase, la generazione attuale facesse per crescere i propri successori quello che fanno i migliori manager usciti da corso Path to Power di Standford, cioè nulla, darebbe il tempo ai successori di osservare da vicino, imparare con calma, provare poco per volta, sbagliare senza paura. Nei casi studiati per il libro figli di papà i casi di insuccesso avvengono in questa seconda fase: ci sarà un perché…

Senza la fretta e la pressione, pian piano si trasferisce l’imprenditorialità trangenerazionale che apre ai successori la terza fase: la chiamata. Questa fase inizia quando si passa dalla precisione nella tecnica all’espressione personale della propria essenza imprenditoriale; ogni generazione personalizza “mischiando a modo suo” ciò che ha appreso nelle fasi precedenti creando la propria cifra imprenditoriale; di conseguenza si ha la presa di coscienza del proprio agire imprenditoriale cui segue una visione propria del futuro del settore e dell’azienda. Così parte la necessaria evoluzione di cui ogni impresa ha bisogno per sopravvivere alla distruzione creatrice, per arrivarci forse bisognerebbe davvero convincere la generazione attuale a non preoccuparsi (troppo) dei suoi successori.