Nell’ultima uscita familyandtrends ha fatto notare che uno dei tipici dilemmi del capitalismo familiare “perché un familiare dovrebbe essere più adatto degli altri otto miliardi di umani a guidare l’impresa?” è posto in modo semplice ed è incredibilmente appealing perché soddisfa il desiderio umano di trovare semplici relazioni di causa-effetto ma è sbagliato. L’affermazione ha provocato alcuni commenti interessanti, giusti e, qualcuno anche un po’ piccato.

Il primo: se le figure dell’imprenditore e del manager non sono mutualmente esclusive perché esistono imprese “managerializzate” di successo? Perché un’impresa può avere un enorme successo avendo alla guida solo un leader con approccio manageriale, i.e. con un orizzonte di breve medio termine che gestisca la complessità, guidi il team manageriale e l’organizzazione, allochi risorse, faccia problem solving, definisca budget, assicuri efficienza di esecuzione. È il mondo del “breveterminismo” dove la competizione è considerata come una gara di Formula 1 con un tracciato ben chiaro dove conta la performance efficiente nel breve periodo. La Disney dopo Walt è stata guidata in questo modo e per 7/8 anni ha avuto risultati finanziari eccezionali, la Disney dopo Bob Iger ha ottenuto successi incredibili nello streaming: in entrambi i casi però l’impresa è andata in crisi perché non c’era bilanciamento tra risultati di breve e visione di lungo. Nel primo caso, il fratello di Walt, Roy, si è adoperato per sostituire il management e ridare una visione equilibrata scegliendo Bob Iger, nel secondo lo stesso Bob Iger è tornato alla guida dichiarando: “lavorerò per rimettere a posto le cose in modo che si onori e rispetti la creatività come il cuore e l’anima di chi siamo… io credo fermamente che la creazione di storie è ciò che dà vita a questa impresa e questo è il centro di come noi dobbiamo organizzare l’azienda”. Le imprese “solo manageriali” non sono in grado di avere un orizzonte di lungo termine, di vedere le opportunità e disegnare come perseguirle, di conoscere le dinamiche competitive di lungo termine e le direttrici di sviluppo del settore, di proteggere ed evolvere l’essenza imprenditoriale e la cultura aziendale. Gli effetti del breve termine “managerializzato” dicono che la vita media delle prime 500 aziende dello Standard & Poor USA è inferiore ai 25 anni, le prime dieci hanno una vita mediana di 33, delle quasi 29.000 imprese quotate negli Stati Uniti dal 1950, il 78% non esiste più.

Il secondo: i fondatori sono sia imprenditori che manager. Certo: i fondatori sono esseri unici ed irripetibili che sono passati attraverso la selezione naturale della distruzione creatrice schumpeteriana. Una start up su dieci sopravvive, una su diecimila cresce con successo e una su 1,7 milioni diventa un unicorno, i.e. raggiunge una valutazione superiore a un miliardo. Per quanto probabilità inferiori a trovare quel manager “risolvi-tutto” su otto miliardi di umani restano probabilità basse: essere sopravvissuti rende i fondatori soggetti della coda della gaussiana, quindi difficilmente replicabili. Le imprese solo “imprenditoriali” sono imprese senza “managerialità” e quindi deboli nella gestione della complessità e dei team manageriali, nell’organizzazione, nell’allocazione di risorse, nell’ esecuzione efficiente: sono imprese che ad un certo punto smettono di crescere e sopravvivono con dimensioni sub ottimali sino a quando l’imprenditore non invecchia, smette di perseguire opportunità, esaurisce il coraggio e mette “i remi in barca”. In Italia siamo dei buoni conoscitori di questo tipo di patologia e la cura degli imprenditori delegati, come li definisce Nocivelli, sembra non piacere.

Il terzo: dire che bisogna guardare anche in famiglia è l’origine del nepotismo. Indulgere nel nepotismo è un errore che può portare alla distruzione dell’impresa ed è uno dei peccati capitali del capitalismo familiare. familyandtrends intendeva invece spronare le famiglie imprenditoriali a chiedersi quale debba essere il loro ruolo una volta scelti i migliori manager, non a sceglierli per forza tra i familiari. Scegliere e, soprattutto attrarre, manager validi e adatti è difficile, magari la probabilità non è una su otto miliardi ma potrebbe essere una su 500 milioni (il numero di laureati al mondo) o una su 500 mila (il numero di MBA al mondo); ma la famiglia imprenditoriale deve anche essere custode e prendersi cura nel tempo dell’impresa e anche in questo ambito le probabilità non lasciano tranquilli: 45 imprese su un milione superano i cento anni e 1 su un miliardo arriva a duecento.

Quindi, le probabilità dicono che far crescere in modo equilibrato tra breve e lungo termine l’impresa, attrarre e far crescere manager bravi, assicurare almeno un imprenditore in ogni generazione sono cose difficili… e le famiglie imprenditoriali lo sanno bene.