Salvo distrazioni è da qualche tempo che nel nostro Paese non si dibatte accesamente sulla dimensione delle nostre imprese; quando poi le aziende vengono acquisite da qualche gruppo multinazionale, si attiva la variante del dibattito sui capitalisti senza capitale, la maledizione della terza generazione etc.

Ebbene, mai quanto adesso la dimensione ed il passaggio dimensionale delle imprese familiari dovrebbero essere la nostra ossessione: non perché la dimensione di per sé sia importante, bensì perché i mercati in cui le nostre imprese sono leader diventeranno più piccoli e metteranno a rischio la competitività del nostro Paese. Andando con ordine, vediamo prima le cause e poi qualche spunto di riflessione.

Le nostre imprese non sono multinazionali tascabili bensì leader multinazionali in settori tascabili. Questo succede perché la nostra creatività ci permette di competere con chiunque nel mondo senza dover far leva sui vantaggi della dimensione, cosa che non è prevista dai dettami della strategia d’impresa da quando negli anni sessanta Christensen, Andrews e Bower, titolari del corso Business Policy ad Harvard e precursori di Porter, spiegarono come le aziende crescono definendo i concetti di economia di scala e di scopo.

Gli imprenditori italiani rappresentano un’eccezione che i padri fondatori della strategia aziendale non avevano previsto. Le nostre aziende non crescono per economie di scala o di scopo: crescono in settori in cui queste non hanno effetto. La prova è che inventano al loro interno i macchinari di cui hanno bisogno perché non esistono sul mercato. Nessuno li produce perché il settore è troppo piccolo per attrarre l’interesse di un produttore di macchinari. Quando il settore è sufficientemente grande ed esistono macchinari disponibili per tutti vince chi ne può comprare di più, non chi ha la creatività per inventarli: ed ecco perché le nostre imprese, anche quando sono leader mondiali, lo sono in settori piccoli, i.e. tascabili.

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Gli esempi sono infiniti agli occhi di chi passeggia ospite delle nostre imprese di successo. Giovanni Rana è diventato il primo produttore di pasta fresca al mondo battendo Buitoni, marchio della Nestlè multinazionale che basa il suo successo in diverse categorie sulle economie di scala, inventando e costruendo i macchinari necessari per produrre in modo flessibile e con qualità superiore un’amplissima gamma di prodotti. Alla Manifattura di Nole si produce il velluto migliore al mondo: il ciclo di produzione è svolto completamente all’interno su macchinari inventati nel tempo dai vari membri della famiglia Ferrari; tutti i grandi nomi del lusso, che nel mondo basano il loro vantaggio competitivo sulle economie di scala, vengono a Nole e ordinano il velluto che esce da queste macchine. Il caso più estremo: Michele Ferrero che non solo disegnava i macchinari, ma inventava prodotti che non avevano una categoria o un mercato di riferimento: non solo inventava come produrre ma inventava anche i mercati, non erano mercati tascabili erano mercati che il genio tirava fuori dalle tasche per la prima volta.

Sino a qui sembrerebbe tutto bene ma il rischio è enorme: i restanti 4/5 di questo secolo saranno caratterizzati da divisioni, restrizioni e tasse sulle importazioni, difesa di industrie locali, minor apertura mentale dei consumatori: succederà quello che cominciamo a chiamare “Slowbalisation”. Per le grandi multinazionali sarà difficile, per le nostre imprese potrebbe essere letale: quando un settore tascabile si contrae diventa troppo piccolo perché il leader possa continuare a prosperare.

familyandtrends propone una prima soluzione: impostare la propria crescita su un gruppo di manager “imprenditori delegati”, questo permetterà di avere una presenza imprenditoriale in ogni area che un mondo più separato avrà. Lo spiega bene il caso di EPTA e Marco Nocivelli: “… un imprenditore riesce ad essere al centro delle decisioni fino a quando la sua azienda passa da un fatturato di cento milioni a poco meno di un miliardo, sorpassata questa soglia non riesce più a prendere tutte le decisioni e deve delegare. Il problema è che, sino a un miliardo, l’imprenditore riesce a delegare a una linea di manager che conosce molto bene, ma quando si avvicina o supera questa soglia, sono i suoi manager che devono a loro volta delegare… in questo caso i manager devono cambiare approccio mentale e divenire loro stessi un po’ imprenditori”. Perché cento milioni e un miliardo? Con un fatturato per dipendente di circa 200K si arriva a cento milioni con circa 500 persone: le conosci tutte. A un miliardo ci sono circa 5.000 persone, per far funzionare l’organizzazione in modo imprenditoriale, all’imprenditore non basta più delegare, ha bisogno di “imprenditori delegati” che deleghino a loro volta.

Cento milioni e un miliardo possono sembra numeri di tutto rispetto o addirittura irraggiungibili per molte imprese italiane leader in settori tascabili, ma nel frazionamento dei mercati e nella creazione di muri tra aree geografiche imposti dalla slowbalization, avere “imprenditori delegati” in ogni area e per ogni iniziativa sarà il nuovo vantaggio competitivo necessario per le nostre imprese leader di settori tascabili. Come per le economie di scala e di scopo, nessun professore di Harvard ha ancora inventato una teoria che preveda gli “imprenditori delegati” degli imprenditori: questo non dovrebbe essere un problema per la creatività imprenditoriale italiana che ogni giorno inventa soluzioni, prodotti e servizi nuovi che consumatori e concorrenza non riescono neanche a immaginare.