Harvard Business School è, dai tempi di Renato Tagiuri, un bell’osservatorio per capire cosa succeda nelle famiglie imprenditoriali a livello internazionale. Per familyandtrends il corso sui family office tenuto da Lauren Cohen e Nori Gerardo Lietz è stato una interessante occasione per discutere con più di cinquanta famiglie argomenti di frontiera sulla gestione della famiglia e del suo capitale.

Gli studiosi di capitalismo familiare stanno dedicando sempre maggior attenzione ai circa 7.300 Single Family Office (SFO): si tratta di un fenomeno relativamente nuovo, i 2/3 sono stati creati in questo secolo e 1/3 negli ultimi 5 anni, certamente l’enorme massa di liquidità immessa nel sistema dalle politiche espansionistiche ha dato un contribuito chiave.

Oggi circa 6 mila miliardi di dollari sono gestiti da SFO, e.g. circa 3 volte il PIL italiano, ma in un mondo dove gli asset finanziari sono 100 volte tanto è naturale che la prima domanda che molte famiglie si pongono sia a quale ammontare di ricchezza investibile abbia senso avviare un family office? La risposta più comune degli esperti è 100 milioni; la pratica internazionale dice che sotto i 250/300 milioni il costo di un SFO è alto e non vi sono grandi vantaggi in termini di efficacia, accesso ad investimenti, network, economie di scala.

Gli ambiti di discussione del gruppo di famiglie si sono concentrati su la coesione della famiglia e la strategia di investimento.  

Chi crea un FO lo fa per preservare il capitale e proteggere le generazioni future dal rischio del potere distruttivo che grandi quantità di ricchezza possono avere. Questo ultimo aspetto è molto sentito dagli americani educati al giving pledge da Carniege e Buffet, ma anche europei, mediorientali e sudamericani sono preoccupati dalla sindrome del silver spoon. Una famiglia ha illustrato un antidoto interessante. Ogni familiare al compimento della maggiore età riceve una somma significativa ma non grande da investire o spendere come ritiene; spesso, ha ammesso il capo famiglia, la somma viene persa o molto ridotta nel giro di pochi anni: “è un modo con cui investiamo l’1% del nostro patrimonio per salvaguardare il 99%”. L’idea ad Harvard è stata accolta con grande interesse, familyandtrends ha tenuto a sottolineare che in Italia non è niente di nuovo: alcune famiglie lo fanno da tempo.

Nel caso in cui l’FO non assicuri la coesione della famiglia c’è il rischio che ogni avente diritto si prenda la sua parte e se ne vada, infatti con ricchezza liquida ed investibile andarsene sembra più facile. Questo rischio è più elevato quando l’impresa di origine è stata venduta ma esiste anche quando l’impresa rappresenta meno del 50% della ricchezza. Senza la coesione, la ricchezza direttamente nelle mani degli eredi può avere un effetto negativo sulla loro psicologia e sulla loro vita, soprattutto, nel tempo tende a disperdersi non godendo più delle economie di scala e della possibilità di avere più saggezza di investimento che un buon FO può offrire. Il dato è confermato dal fatto che la ricchezza non investita in attività imprenditoriali tende a sparire dalla lista di Forbes.

Per ottenere la necessaria coesione è necessario che il FO diventi il luogo dove i familiari vengano educati come azionisti responsabili, il bilanciamento di diritti e doveri sia definito in modo trasparente, il vantaggio dello stare insieme sia sostanziato e dimostrato attraverso regole di “uscita” giuste, i.e. che riconoscano che chi esce crea un danno alla parte di famiglia che resta e che una quota di un FO non è uguale a quanto l’FO possiede per trasparenza. Il FO è spesso usato, soprattutto per le famiglie più numerose, come seed investment fund per le iniziative dei giovani che possono costituire un germoglio di creazione di ricchezza futura o, nel peggiore dei casi, un’ottima esperienza di apprendimento.

Per quanto riguarda il secondo ambito di approfondimento, la strategia di investimento, senza andare nei sofisticati approfondimenti sull’asset allocation e sulle nuove frontiere di investimento, si possono identificare due approcci. L’endowment model sviluppato da Swensen a Princenton che richiede di essere esperti di gestori, investimenti alternativi ed illiquidi per accedere in questo modo al primo quartile dei fondi di ogni genere. Questo approccio ha avuto grande successo ma per applicarlo oggi è necessario un forte network di gestori che dia accesso ai fondi migliori, questo è semplice per le università che accedono ai loro alumni difficilissimo per altri. L’evidenza empirica mostra come l’approccio endowment per essere efficiente richiede patrimoni superiori al miliardo. L’altra opzione è una gestione più diretta degli investimenti in ambiti, in aziende, in persone che si conoscono a fondo, questo richiede tra i familiari la presenza di un “imprenditore degli investimenti” che sia credibile anche quando le cose non vanno bene e, soprattutto, quando le cose vanno bene e si deve resistere alla tentazione di vendere.

Tra questi due estremi, le famiglie internazionali incontrate ad Harvard stanno sperimentando soluzioni ibride. I Multi Family Office sembrano meno attraenti di un tempo, mentre sembra che il futuro sarà l’unbundling delle attività del FO con un manager di fiducia, anche familiare, che decide se dare in outsourcing o fare internamente le attività tipiche di un FO quali gli investimenti (sempre più frequente è la figura del OCIO, Outsourced Chief Investment Officer), gli investimenti speciali (dall’arte al collezionismo, dai fondi di cause legali allo sviluppo immobiliare nel metaverso), la gestione immobiliare, la contabilità e la tassazione, la parte legale e le scelte di localizzazione, il concierge e i servizi alla persona, l’educazione delle nuove generazioni, l’attività di coinvolgimento dei familiari, etc.  Da queste esperienze nasceranno nuove forme di Hybrid Family Office (HFO).

Durante tutte queste accese ed approfondite discussioni, un signore indiano ha colpito familyandtrends: molto distinto ascoltava con grande attenzione ma silenzioso e quasi distaccato. Alla prima occasione a tu per rispondendo alla domanda su quale fosse il suo punto di vista, ci ha pensato su un po’, poi ha affermato: “sono partito a 15 anni vendendo cibo in strada e ho creato una bella azienda di ristorazione oggi presente anche nelle attività agricole e all’estero che dà lavoro a tanti mie connazionali e offre cibo di qualità ma accessibile. Diventare ricco è stato entusiasmante ed emozionante! Restare ricco sembra molto meno interessante, lascio che se ne occupino altri”.