Parlare di soldi e, soprattutto, di tanti soldi, i.e. ricchezza, nei paesi occidentali sviluppati e non calvinisti è considerato inopportuno, maleducato come lo è dire parolacce, fare apprezzamenti volgari, parlare di sesso. Lo è anche in Italia, il che è più sorprendente: siamo un Paese dove è accettato che tutti parlino, spesso senza preparazione, su moltissimi argomenti su cui ci vorrebbe prudenza. Certo l’esempio del ricco che ad entrare nel regno dei cieli fa più fatica del cammello nella cruna dell’ago ha influenzato il nostro modo di pensare ma c’è di più, è presente nella nostra cultura l’idea che chi è diventato ricco lo abbia fatto a spese degli altri e in modo non “pulito”, questa è probabilmente la causa della strisciante invidia sociale. La ricchezza resta, comunque, un argomento tabù e di nicchia, con cui la società deve fare i conti, basti pensare all’ondivago atteggiamento della Cina: dall’arricchirsi è glorioso di Deng Xiaoping alla guerra ai miliardari neanche troppo sotterranea di Xi Jinping.

Resta un fatto che i ricchi esistono e fanno (anche) cose buone: impiegano parte della ricchezza per altri, influenzano la politica e la società, si occupano della comunità in cui vivono, finanziano iniziative in cui credono; quando poi hanno un’attività o un’impresa fanno cose di valore per i loro clienti, creano lavoro, pagano le tasse. Potrebbero, in alcuni casi, addirittura essere utili per aumentare la comune comprensione tra paesi e culture in tempi che si prevedono geopoliticamente ballerini. Forse non sono i migliori esempi di miliardari buoni, ma è un fatto che Abramovic ha cercato (senza successo) di mettere al tavolo della pace Russia ed Ucraina e che il sistema satellitare su cui fa affidamento l’Ucraina è (in parte) della SpaceX di Musk.

Cercando di andare oltre i pregiudizi, una interessante ricerca di UBS dal titolo, Billionaire Ambitions, ci dice che le priorità dei miliardari sono: far sì che i miei discendenti possano beneficiare della ricchezza, perseguire obiettivi filantropici/avere un impatto sulla società, continuare a far crescere ciò che io e chi mi ha preceduto abbiamo creato (azienda, marchi, beni), aiutare e supportare gli altri (lasciare un’eredità culturale, supportare lo sport, aiutare le iniziative imprenditoriali).

Queste risposte impongono, almeno, tre considerazioni.

La prima. Il 68% di coloro che ricchi lo sono diventati, i.e. prima generazione, ha come prima ambizione filantropia e impatto sulla società, mentre solo il 32% delle generazioni seguenti ha questa ambizione. La principale ambizione delle generazioni successive, di nuovo per il 68%, è continuare a far crescere ciò che si è fatto o ricevuto (26% per la prima generazione). Questi dati, evidenziano un disallineamento generazionale poco studiato e troppo sottovalutato: chi ha già avuto successo vuole restituire alla società e avere un impatto oltre l’attività di famiglia, chi deve ancora disegnare il suo percorso vuole mettere a lavorare i soldi per ingrandire l’attività di famiglia. Siccome le due volontà insistono sugli stessi soldi è necessario regolare quali parti del patrimonio dedicare alle due legittime ma confliggenti ambizioni. L’errore più frequente e grave è farne uno scontro di principi tra le iniziative di impatto e le necessità dell’impresa, mentre la soluzione va cercata nel bilanciamento nel medio termine e nelle sinergie tra le diverse iniziative.

La seconda. Entrambi i gruppi, prime generazioni per il 65% e le successive per il 60%, desiderano che i loro discendenti possano beneficiare della ricchezza ed è affascinante notare come chi si occupa della gestione della ricchezza sembri non soddisfare le ambizioni di chi quella ricchezza la possiede. Una seconda ricerca interessante, la ricerca sui family office di City Private Bank, afferma che i focus principali dei family office sono servizi di wealth management (74%), gestione dell’investimento principale (55%), attività di amministrazione della ricchezza (23%); solo il 21% dei family office singoli (e.g. di una famiglia sola) o multi (e.g. che servono più famiglie) ha tra i focus l’unità e la continuità della famiglia. Meno del 10% (!) si occupa dell’educazione delle nuove generazioni. Come un ricco può avere come ambizione che i suoi successori possano beneficiare della ricchezza se non li educa ad “essere ricchi”? Sarebbe come regalare una bella macchina sportiva ad un figlio diciottenne senza fargli prendere la patente o come mettere da parte una bella somma per pagargli una buona istruzione universitaria senza preoccuparsi che impari a leggere e a scrivere. L’accademia è concorde nel definire chi ha accumulato ricchezza come una persona attenta, razionale e non particolarmente propensa al rischio (al contrario delle credenze comuni), eppure la stessa persona è pronta a mettere nelle mani di successori grandi quantità di denaro senza prepararli. familyandtrends non ha la risposta, anche se si è dato come buon proposito di ottenerla nel 24, ma l’ipotesi più accredita per essere testata è che sia assodato che diventare ricchi sia difficile, e.g. meno del 10% delle start up sopravvive e meno del 1% diventa un unicorno, sia noto che rimanere ricchi richieda attenzione e dedizione, e.g. la ricchezza divisa o non gestita sparisce in tre generazioni, ancora nessuno abbia dimostrato che essere ricchi è come saper scrivere o guidare: bisogna studiare per farlo bene. Avere la risposta ha una certa urgenza perché nei prossimi 15 anni la generazione più ricca della storia, i.e. i baby boomers, lascerà il più grande patrimonio che sia mai stato accumulato (circa 600 trilioni) a generazioni, i.e. Y, Z e Alpha, che davanti a sé hanno un secolo incerto che ha iniziato i suoi primi vent’anni con crisi finanziarie, guerre, pandemie e sta entrando nella sua adolescenza con instabilità geopolitiche e finanziarie irrisolte.

La terza. Le ambizioni dei miliardari non sembrano diverse dalle ambizioni di molte brave e sagge persone meno ricche: lasciare ai propri eredi qualcosa di cui possano beneficiare e adoperarsi per far sì che la comunità che lasciamo sia migliore di come l’hanno trovata e li si ricordi con benevolenza. familyandtrends si è già chiesto se i miliardari siano buoni o cattivi; è forse venuto il momento di porsi una seconda è più impegnativa domanda: come i miliardari possono anche mettendosi insieme avere un impatto sulla società? Come possono essere buoni antenati? Come possono assicurarsi che questo impatto sia duraturo attraverso una appropriata educazione delle nuove generazioni che non dovranno “diventare ricchi”, che non dovranno preoccuparsi molto di “restare ricchi” ma che dovranno essere all’altezza di “essere ricchi”.