In questo secolo i miliardari censiti da Forbes sono aumentati del 500%, la popolazione mondiale del 30%; per la prima volta nella storia alcuni patrimoni hanno raggiunto i 100 miliardi di dollari. Nel 2021 la ricchezza dei miliardari è passata da 5 a 13 bilioni (migliaia di miliardi).

Questi dati bastano a spiegare perché in molti circoli intellettuali in giro per il mondo le discussioni sulla ricchezza e su come comportarsi con essa stiano aumentando. Non si tratta più solo di Thomas Piketty e di altri che, per convinzione o per invidia, con teorie più o meno solide collegano la disuguaglianza alla sofferenza: si discute su come la politica debba o non debba agire e ci si chiede se i ricchi siano buoni o cattivi.

Partendo dalla politica: le scelte economico-finanziarie influiscono sulla ricchezza attraverso due elementi, il primo, la creazione di moneta delle banche centrali, il secondo, la distribuzione della stessa fatta (in buona parte) dai governi.

Il primo. Dal 1971, quando fu posto termine agli accordi di Bretton Woods e le banche centrali furono libere di stampare moneta senza alcuna correlazione con l’oro che avevano a riserva, la ricchezza mondiale è passata da circa 10 a circa 600 bilioni, mentre il PIL da circa 10 a circa 100 bilioni. Versare su una popolazione mondiale cresciuta di circa 2 volte una quantità di denaro 60 volte superiore porta il denaro ad accumularsi su alcune di queste persone, il “versamento” inoltre è avvenuto soprattutto nelle economie sviluppate, le meno popolose: l’aumento dei miliardari è un effetto della maggior liquidità non la causa di una maggior disuguaglianza. Il secondo. Come reazione al Covid i governi hanno generato sussidi per circa 16 bilioni e accresciuto gli asset finanziari di circa 100 bilioni: 7 sono “andati” ai miliardari. Sono finiti nelle tasche dei miliardari come nelle tasche di tutti, solo che grandezze che partono da valori assoluti diversi e crescono in percentuali uguali aumentano la disuguaglianza; di nuovo: i miliardari non sono la causa della disuguaglianza.

L’aumento della ricchezza e dei ricchi non è la causa della disuguaglianza e la disuguaglianza non è la causa delle sofferenze (se non quella degli invidiosi e degli accidiosi): si soffre perché non si ha abbastanza, non perché altri hanno di più. Per dirla con Churchill: meglio una ingiusta ripartizione della ricchezza che una giusta distribuzione della miseria.

Il secondo punto si chiede se i miliardari siano buoni o cattivi. Anand Giridharadas sul New York Times si è chiesto se solo perché Buffet sembra un buon miliardario dovremmo difendere “un sistema che permette ad un uomo solo di accumulare più di 100 miliardi mentre le persone dormono nei suoi camper, avendo contratto debiti con lui, accorciando le loro vite bevendo bibite in cui lui ha investito e scorrazzando in grandi magazzini dove l’assenza dei sindacati accresce ancora di più la sua ricchezza”.

Ruchir Sharma sul Financial Times ha proposto una suddivisione in buoni e cattivi milardari: sono buoni quelli la cui ricchezza deriva da settori produttivi e puliti, soprattutto tecnologia e manifattura, rispetto a settori come l’immobiliare ed il petrolio. I miliardari di settori poco produttivi, inclini alla corruzione e poco trasparenti hanno più probabilità di ingenerare movimenti populisti. Una volta definiti i sommersi ed i salvati è facile erigersi a giudice imparziale. I miliardari cattivi sono in Messico (circa 75% di cattivi), Russia (circa 60%), Australia (circa 50%), UK (circa 22%), Cina (circa 20%); i buoni a Taiwan (circa 43%), in Cina (circa 42%), in Corea del Sud (circa 42%), in Indonesia (circa 32%), in USA (circa 32%), etc.  Sharma considera anche i singoli miliardari in senso relativo rispetto al paese in cui si trovano: Jeff Bezos è uno dei più ricchi ma arriva solo allo 0,8% del PIL (non si tratta proprio di confrontare mele con mele ma il tentativo di contestualizzare è da apprezzare) mentre nella storia Rockfeller (il miliardario per eccellenza e per il cui family office Sharma lavora) arrivò al 1,6%. In economie più “piccole” si trovano miliardari che superano la “soglia Rockfeller”: 5 in Svezia, 2 in Messico, Francia, India ed Indonesia, 1 in Spagna, Canada, Italia e Russia.

Le contorsioni logiche di Sharma raggiungono l’apice con il capitalismo familiare: le ricchezze buone quando ereditate diventano cattive. Coloro che ricevono queste ricchezze sembrano diventare cattivi non perché la ricchezza è cattiva ma perché è passata ad una altro umano facendolo ricco. Sharma non prende in considerazione che quando la ricchezza è impegnata nell’impresa e l’impresa è continuata dai successori, in qualsiasi settore, genera benessere: in un paese non molto popoloso togliendo la ricchezza ad un “Rockfeller” e distribuendola si possono dare tra i 400$ ed i 600$ una tantum a ogni cittadino mentre quella stessa ricchezza impegnata nell’impresa distribuisce ogni mese milioni o miliardi a dipendenti e fornitori facendo qualcosa di utile per i clienti e, magari, lo fa anche per clienti in altri paesi migliorando la bilancia dei pagamenti del paese.

È curioso che proprio in USA si tenda a dimenticare l’insegnamento di Andrew Carniege che in Gospel of Wealth scrisse: “Ci sono tre diverse modalità tramite le quali il surplus di ricchezza può essere messo a disposizione della società. Può essere lasciato ai discendenti, può essere donato per uso pubblico, oppure, infine, può essere amministrato dai suoi possessori nel corso della propria vita… ci sono casi di figli di milionari, non contaminati dalla ricchezza, che pur essendo ricchi continuano a offrire grandi servizi alla comunità. Sono loro il vero sale della terra ma, sfortunatamente, sono rarissimi”.

Si farebbe bene ad impegnarsi perché questo “sale della terra” sia meno raro e non per buttarlo via catalogandolo come cattivo.