Il lungo termine è stato oggetto degli ultimi due familyandtrends con l’obiettivo non di convincere che le imprese familiari hanno una visione di lungo termine, cosa su cui sembra esserci un ampio accordo, ma con l’obiettivo di capire cosa significhi svilupparsi nel lungo termine.

Per ragionare in termini temporali ampi, che superano la vita media di un individuo, si è fatto riferimento a come le cose cambiano in natura e con quali tempistiche. In una foresta conifera, ad esempio, gli aghi di pino cambiano in un anno, la chioma dell’albero in alcuni anni, la corteccia in molti anni, un filare omogeneo in centinaia di anni, una foresta in migliaia di anni, una parte di biosfera di vegetazione in decine di migliaia di anni. Un sistema che vuole sopravvivere deve “competere” su diverse scale temporali. Negli anni conta l’individuo, nei decenni la famiglia, nei secoli la tribù o la famiglia allargata, nei millenni la cultura, nelle decine di millenni la specie. Nel mondo delle imprese è difficile spingersi ai millenni, e comunque sarebbe un problema raro considerato che solo un’impresa su un miliardo supera i duecento anni; ma è certo che sino a che si ragiona in secoli la famiglia e ciò che la tiene unità hanno un valore per la continuità di un organismo vivo quale l’azienda.

Al di fuori del mondo aziendale, le cose fatte dall’uomo hanno un momento critico nel loro durare che è i primi cinquant’anni dalla costruzione. Non si tratta della maledizione della terza generazione del capitalismo familiare ma solo del fatto che una cosa fatta da una o due generazioni precedenti non è più nuova, non è più attuale ma non è ancora antica o da preservare. Per supera questo momento critico ci sono quattro modi.

Primo, non smettere di costruire: si pensi alla Sagrada Familia di Barcellona che è ancora “in costruzione” dopo più di cento anni. Secondo, manutenere: si pensi all’arte giapponese nella manutenzione delle costruzioni in legno o del Kintsugi, l’arte di aggiustare tazze di ceramica con lacca e oro in modo da renderle più resistenti e più preziose anche dopo che si sono rotte. Terzo, ricostruire: si pensi alla cultura Shinto che prevede di ricostruire il tempo di Ise Shrine ogni vent’anni e che, nei fatti, lo ricostruisce da 1.400 anni. Quarto, aggiornare: si pensi alle università europee, Bologna ed Oxford sono le due più antiche e da più di mille anni ricevono nuovi studenti ogni 3/5 anni e aggiornano programmi, professori, modi di insegnare.

Non smettere di costruire, manutenere, ricostruire, aggiornare sono quattro modi per durare nel tempo. Le aziende vivono in ambienti competitivi quindi i modi di durare troppo statici e ripetitivi rischiano di renderle meno adatte ad un nuovo contesto competitivo. È l’evoluzione la chiave della durata dell’impresa e questa deve avvenire seguendo tre principi.

Il bialbero di Casorzo: un ciliegio cresciuto su un gelso. I bialberi sono esempi di evoluzione da Figli di Papà
Disegno di Vittorio Bertoldi (IG: @iaam.vittoo)

Primo. Capire come funziona la propria impresa, lavorarci dentro in modo da affinare i processi imprenditoriali che la rendono diversa, fare tutti i ruoli necessari per apprendere il funzionamento. Certo per i giovani un’esperienza esterna può essere utile per capire il contesto competitivo, apprendere delle capacità, capire come funziona il mondo del lavoro in altre aziende ma queste esperienze devono completare la conoscenza necessaria per capire l’azienda di famiglia e il suo settore. Michael Porter ha detto che una teoria che spieghi il successo nei prossimi cinquanta anni deve focalizzarsi su variabili interne rispetto ad una che spiega il successo nei prossimi tre o cinque, questo perché i settori e le condizioni competitive saranno completamente diverse nel giro di mezzo secolo e questo sposta il focus sulla capacità di trasformare se stessi.

Secondo. Avere (almeno) un imprenditore in ogni generazione. L’imprenditore (o gli imprenditori) deve essere scelto perché il migliore tra i familiari a guidare una fase di sviluppo dell’impresa. L’imprenditore deve prendersi cura dell’impresa e deve adattarla al mutato contesto competitivo. Avere un imprenditore (o più d’uno) impegnati in azienda non significa non avere manager: i due ruoli devono completarsi in modo da poter dare all’impresa un giusto bilanciamento di lento e veloce, di lungo e breve termine, di impegno di risorse stabile e di agilità nelle decisioni, di capacità di visione e di capacità di gestione della complessità, etc.

Terzo. Decidere cosa cambiare e cosa mantenere, innovare nel solco della tradizione. Questa decisione va presa in ogni fase di sviluppo con l’obiettivo di adattare l’azienda al mutato contesto competitivo facendo leva sulle competenze e le idee dell’imprenditore dell’attuale generazione.

Questi tre principi sono necessari per l’evoluzione e la durata nel tempo dell’impresa di famiglia, ma non sono sufficienti: è poi necessario che vi sia un azionariato solito fatto di buoni e responsabili azionisti ma questo argomento necessità di un altro familyandtrends…