Circa un anno fa, familyandtrends ha evidenziato come l’accelerazione di Blackrock verso lo stakeholderism aprisse la sfida tra capitalismo finanziario e capitalismo familiare e come il primo tempo vedesse in vantaggio la grande finanza globale.

Dopo un anno si può serenamente affermare che dell’ESG, acronimo sulla bocca di tutti tanto da essere una buzzword, ciò che più conta è la G, l’ultima lettera che molti si chiedono cosa centri dopo le belle e utili  “Enviromental” e “Social”. Proviamo a vedere perché partendo da lontano e da uno dei pochi economisti che di solito ha ragione.

Friedman, nel 1970, in un articolo dal titolo “la responsabilità sociale dell’azienda è di aumentare i profitti” ha sostenuto che l’unica responsabilità di un’azienda è verso i suoi proprietari e che gli amministratori delegati, per quanto potenti, restano dei dipendenti salariati, devono attenersi nei limiti della legge e dell’etica a massimizzare il profitto non avendo diritto a spendere soldi di qualcun altro per fini che non siano ridare quanto l’azienda guadagna a chi la possiede. Per quanto la logica sia alquanto stringente, come Friedman usava, oggi si discute se questa sia l’unica responsabilità. Ognuno è libero di avere la sua idea sul punto, ma due fatti sono da tener presente. Primo, sin quando shareholderism e stakeholderism possono convivere il mercato parla di stakeholderism, quando le due cose non sono coniugabili sceglie lo shareholdersim come si è dimostrato in casi eclatanti. Secondo nel caso del capitalismo familiare si può discutere se la responsabilità sia sulle spalle dell’azienda ma di certo è sulle spalle della proprietà: la famiglia imprenditoriale. Ecco perché la G conta.

Per quanto familyandtrends abbia una qualche conoscenza di capitalismo familiare nelle ultime due settimane ha, ancora una volta, imparato qualcosa di nuovo dagli imprenditori: l’ESG non deve essere un obbligo, un costo, una decisione morale: semplicemente l’ESG deve essere “più figo”, i consumatori, le persone, le comunità devono scegliere cose buone per il nostro pianeta perché sono migliori per loro oltre che per il pianeta. Non si tratta di bilanciare interessi o di regolare comportamenti ma di mettere insieme gli ingredienti economici, capitale e lavoro, in modo diverso per produrre una ricetta che piaccia. E nel mettere insieme capitale e lavoro, dai tempi di Marx, nessuno batte gli imprenditori.

In una discussione su una serie di grandi investimenti green, familyandtrends ha chiesto, forse con eccesso di cinismo e di ignoranza, se nel caso in cui solo l’Europa procedesse nel percorso verde la CO2 degli altri continenti si sarebbe “mischiata” nell’emisfero rendendo lo sforzo inutile. La risposta della famiglia imprenditoriale è stata secca: “noi dobbiamo farlo non perché è obbligatorio ma perché crediamo sia la strada giusta. Dimostreremo, quando ci saremo arrivati, che l’approccio environmental and social responsible produce prodotti e servizi talmente migliori che gli altri continenti correranno a copiarci. Noi saremo avanti di anni. Possiamo stare qui a dibatterci in dotte discussioni o possiamo metterci a pensare prodotti e servizi talmente “fighi” che i consumatori li vorranno più di quelli dei nostri concorrenti e poi penseranno: “wow ho anche fatto bene al pianeta”. Andremo, quindi, a venderli negli altri continenti facendo felici anche altri consumatori. Questo tipo di scelte richiede grandi investimenti e grande focus per anni, cose che solo una proprietà stabile, forte e determinata può assicurare. Queste sono cose da capitalismo familiare.

Qualche giorno dopo, ad un bell’evento su futuro della distribuzione nell’automotive, Oscar Farinetti ha illustrato le sue 10 mosse per affrontare il futuro. Il punto 5 dice: “spostare il valore del rispetto dal senso del dovere al senso del piacere” ed il significato risuona con quanto sopra. Non dobbiamo rispettare l’ambiente o le comunità perché è un dovere ma perché è un piacere. Quello che facciamo per stare bene, per consumare piacevolmente, per vivere felici fa bene anche al pianeta.

In un altro caso, il giorno successivo, un’azienda illustrava come aveva rivoluzionato il proprio sistema di logistica inbound globale creando uno standard del prodotto trasportato. Il processo fa sì che si trasporti meno peso su mezzi più efficienti. Lo fate per l’ambiente? No lo facciamo perché semplifica il processo dall’origine al consumatore, costa meno e possiamo trasferire parte del vantaggio al cliente. Il consumatore alla fine consuma lo stesso prodotto pagandolo un po’ meno e facendo del bene al pianeta. Ci sono voluti anni per rendere l’approccio uno standard: più anni della durata media di un amministratore delegato di una azienda a capitale diffuso. Certe cose sono responsabilità degli azionisti, sono cose da G, da governance, da capitalismo familiare.

Dopo una settimana così, familyandtrends si è trovato a chiedersi se gli imprenditori e le famiglie imprenditoriali davvero riusciranno a far sì che “E” e “S” siano “fighi” facendo leva sulla “G”. Sembra molto difficile. La risposta è arrivata da un interessante libro che racconta come Raoul Gardini all’inizio degli anni ottanta capì che il futuro era la trasformazione delle eccedenze agricole non solo per alimentazione ma per usi industriali e per produrre energia così da proteggere l’ambiente. Un bravo imprenditore aveva visto la strada con quaranta anni di anticipo!

Gardini non riuscì a realizzare la sua visione per mancanza di unità degli azionisti familiari, un brutto e ricorrente male del capitalismo familiare che per fortuna oggi si cura meglio di allora. Si cura con la G, l’unica lettera che conta.