Quando hai un successore abbastanza bravo, perché non dovresti fargli guidare l’azienda di famiglia assicurando continuità a quanto fatto da chi ti ha preceduto? Quando non hai un successore abbastanza bravo perché dovresti fargli guidare l’azienda mettendo a rischio quanto fatto da chi ti ha preceduto?

Assicurare continuità all’azienda nel capitalismo familiare è tutto qui: avere qualcuno che può continuare l’attività imprenditoriale: questo è il motivo per cui familyandtrends ha sempre diffidato del termine “passaggio generazionale” coniato in Italia da truppe di consulenti preoccupati a costruire strutture complesse per passare azioni e beni a qualcuno. Ciò che conta davvero è qualcuno che sia in grado e abbia voglia di continuare l’attività imprenditoriale e il dovere morale di ogni famiglia imprenditoriale è assicurarsi che ce ne sia almeno uno in ogni generazione.

Nelle ultime settimane familyandtrends ha avuto alcune occasioni di confrontarsi con chi davvero si deve occupare del cosiddetto “passaggio generazionale”: i successori. Sono loro che hanno il maggior interesse che le cose in futuro vadano bene perché in quel futuro ci vivranno loro e sono sempre loro che avranno più da perdere se le cose non andranno bene perché saranno ricordati come quelli che hanno mandato tutto in malora, che non sono stati all’altezza.

Cosa dicono i successori? In sintesi: ci vuole pazienza e coraggio. Pazienza perché è solo con il tempo e la fatica (tutti i successori abbastanza bravi dicono molta fatica) che si impara come fare l’imprenditore, che si capisce come funziona l’impresa e il contesto competitivo in cui essa è immersa, che si assimilano i dettagli del mestiere che fanno la differenza. Pazienza per dimostrare alla generazione attuale e a chi lavora in azienda che non si pensa di sapere già tutto, che non si vuole subito emergere e comandare, ma pazienza anche per controbilanciare l’impazienza di chi vorrebbe i giovani subito pronti, subito più che abbastanza bravi, subito lì a cambiare tutto. Con la pazienza i successori abbinano spesso l’umiltà, che sa di voglia di imparare dal basso, dai dettagli, dalle cose meno luccicanti ma anche di essere coscienti del peccato mortale di abusare del proprio nome e della propria posizione per un vantaggio personale.

Coraggio perché bisogna mettersi in gioco, sapere che si è intrapreso un percorso che può finire in un fallimento: senza la possibilità reale di fallire non ci sarebbe il reale successo. Non è un caso che coraggio sia parte dell’equazione, il coraggio è uno dei tratti distintivi dell’imprenditore che lo differenzia dal manager (che gestisce la complessità) e dall’investitore (che soppesa il rischio). Coraggio significa spendersi per le proprie convinzioni, non aver paura di metterci la faccia (con umiltà, sempre), portare in azienda quel cambiamento, quel nuovo necessario per adattarla all’evoluto contesto competitivo, quell’innovazione che si combina con la tradizione. 

Per dirla con Anna Karenina: tutte le successioni infelici sono uguali, ogni successione è felice a modo suo. Nel capitalismo familiare i fallimenti fanno rumore come ogni albero che cade in una foresta intenta a crescere. I fallimenti nel capitalismo familiare sono caratterizzati dalla superbia di pensare di sapere tutto che non è perdonata dall’impresa e dall’arroganza che non è perdonata dai concorrenti e, soprattutto, dai clienti; e quando superbia e arroganza portano alla crisi arriva la paura e il motore imprenditoriale si spegne. Ogni successione è felice a modo suo, è fatta di difficoltà, incomprensioni, confusione, errori (anche grandi), fatica, preoccupazione, senso di inadeguatezza ma tutto ciò è necessario per arrivare ad essere all’altezza di chi ha preceduto il successore. Per chi succede, essere all’altezza significa arrivare ad essere “abbastanza” bravo, perché quell’abbastanza? Perché non si tratta di eguagliare e neppure avvicinarsi a chi c’è o c’è stato prima. Chi, come Bill Gates, critica le successioni familiari affermando che non esiste un figlio di un olimpionico che ha vinto la medaglia d’oro, sbaglia non solo perché qualche caso c’è stato ma perché non ha capito che chi succede non ha il compito di eguagliare o superare nessuno, non deve partecipare a nessuna competizione, deve custodire, evolvere e crescere nuovi imprenditori cui consegnare… senza dimenticare di farlo con pazienza e coraggio…